Trova un catetere sul muro di casa
MIRANO. Esce di casa per portare il bambino a scuola, trova sul pilastro del cancello un ago con cannula usati per prelievi e flebo. Da lì inizia un’odissea per far rimuovere l’articolo ospedaliero: nessuno sa da dove arrivi, come sia finito lì e soprattutto nessuno sembra volersi far carico del ritiro e smaltimento. Alla fine il dispositivo, tecnicamente un raccordo di un catetere venoso periferico, rimane lì, in bella vista e a portata di tutti per quattro giorni. Si tratta di rifiuto speciale, che potrebbe anche essere infetto dal momento che non se ne conosce l’utilizzo fatto e che è opportuno, dunque, non toccare. Lo sa bene la mamma scrupolosa che se l’è trovato fuori dall’ingresso di casa e ha così subito pensato di chiamare Veritas per il ritiro e lo smaltimento in sicurezza. Come si fa, ad esempio, per le siringhe ritrovate al parco. Peccato che l’azienda multiservizi non sia potuta intervenire: la valvola infatti è stata ritrovata in area privata (anche se il pilastro della recinzione confina con la pista ciclabile) e dunque è il proprietario a dover chiamare una ditta specializzata a proprie spese. Lei, una donna che risiede con la famiglia in via Caltana, dov’è avvenuto il ritrovamento, non ci sta: «Perché», si chiede, «devo pagare io per il recupero di un oggetto pericoloso che non ho utilizzato? ». Al mistero si aggiunge insomma anche la solita malaburocrazia. Chi ha messo il dispositivo ospedaliero lì? Perché? Che uso ne è stato fatto?
Dopo il rifiuto di Veritas, la signora ha contattato la polizia locale, che l’ha reindirizzata all’ufficio ambiente del Comune. La cittadina ha scritto un’email all’ufficio comunale, ha contattato l’assessorato, ma la mattina dopo il dispositivo medico era ancora sopra la muretta. «È assurdo», racconta, «che io debba fare tutta questa trafila, quando mi sono prodigata per conferire correttamente il rifiuto: potevo buttarlo in strada o nel secco». Ieri la sorpresa: l’ago-cannula non c’era più, ritirato da un uomo in macchina senza insegne.
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia