«Troppi scavi, pochi studi: laguna a rischio»
VENEZIA. Grandi opere e grandi navi, canali troppo profondi e distruzione progressiva della laguna. I grandi progetti hanno spesso fatto il male e non il bene di Venezia e della sua laguna. Che conta tra i suoi nemici, come ripeteva Cristoforo Sabbadino il mare, li fiumi e gli uomini. «Si deve tornare alla politica del fare. Ma del «fare bene». Abbandonando progetti che puntano a interessi particolari e non al bene comune. Il professor Luigi D’Alpaos, uno dei massimi esponenti dell’idrodinamica lagunare, docente di Idraulica all’Università di Padova, lancia un appello ai «decisori». In polemica con Paolo Costa, per i progetti di scavare nuovi canali portuali in laguna. Ma anche con il suo successore al vertice dell’Autorità portuale veneziana, Pino Musolino. I rappresentanti delle categorie portuali invitano a ritrovare la «logica del fare».
D’Alpaos lancia un pesante monito ai sistemi decisionali utilizzati negli ultimi decenni. E rivendica il diritto degli studiosi di «obiettare». «Non siamo il partito del non fare», dice, «e nemmeno i sostenitori della decrescita felice, cosa di cui ci accusa il presidente di Assoagenti Alessandro Santi». «La sapienza, la saggezza e la prudenza», parole chiave della storia veneziana», prosegue, «suggeriscono di veder chiaro, scoprendo tutte le carte sui progetti che riguardano il nostro futuro» L’ultimo esempio è quello delle grandi navi a Marghera. «Ne hanno discusso nelle segrete stanze», continua il professore, «senza mai confrontarsi con quanti possiedono le conoscenze e i saperi necessari. La scelta di mettere le navi a Marghera non aiuterà l’economia veneziana, mentre potranno derivare introiti economici per pochi, degrado ulteriore e sicuro per l’ambiente lagunare. Con l’incremento dei processi erosivi, l’appiattimento dei fondali e la scomparsa dei canali minori della laguna viva, l’impatto negativo sulla circolazione delle acque interne. Una perdita di valore economico del bene laguna che dovrebbe interessare tutti. Anche perché i costi per rimediare poi ricadono come sempre su tutti. E paga Pantalone».
Anche in prospettiva, insiste D’Alpaos, i porti interni, visto l’aumento medio del livello del mare previsto a fine secolo di 50 centimetri e con l’effetto vento «renderanno difficile avere un porto agibile dentro la laguna». Le simulazioni effettuate dallo stesso D’Alpaos negli anni dal 2000 al 2012 hanno rivelato che le manovre necessarie di chiusura delle paratoie del Mose impedirebbero l’accesso al porto per 4 mila ore negli anni critici. «C’è da dubitare che il porto passeggeri, ma anche quello commerciale, possano svilupparsi in una tale prospettiva. Come sembra credere l’Autorità portuale ignorando questi risultati».
Altra grande opera sbagliata secondo D’Alpaos è il Mose. «Il Porto non ha avuto un ruolo nello scandalo Mose, opera dalla quale in molti ora prendono le distanze», scrive, «peccato che non lo abbiano fatto in tempi non sospetti, quando di era inclini a genuflettersi davanti al grande Manovratore piuttosto che discutere di una soluzione troppo costosa per la sua manutenzione e la gestione. Del resto in Olanda la soluzione Mose fu scartata. Anche in quel caso il concessionario puntava soprattutto al proprio business». Dunque, conclude D’Alpaos, «occorre impedire l’autoreferenzialità e fare scelte coraggiose, per sviluppare l’economia ma non a discapito di un ambiente unico com’è la laguna. In questo, gli scienziati indipendenti possono avere un ruolo».
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