«Troppi alloggi, fermiamo i b&b come fanno Berlino e Barcellona»
«Non basta bloccare le nuove attività ricettive. Bisognerebbe fare marcia indietro perché la situazione è preoccupante. Le responsabilità della politica? Certo che ci sono». Paolo Costa, presidente del Porto in scadenza, dà la sua ricetta e fa autocritica. È stato ministro e sindaco di Venezia dal 2000 al 2005. Il periodo in cui l’invasione del turismo cominciava a svilupparsi. Prima era rettore di Ca’ Foscari e docente di Economia nello stesso ateneo. Suo il famoso studio del 1988 fatto alla vigilia della candidatura per l’Expo, poi bocciata dal Parlamento europeo e dal governo italiano. La “soglia massima” dei turisti in città era allora stimata in poco più di 20 mila presenze giornaliere, circa 7 milioni di turisti l’anno. Cifra più che triplicata nell’ultimo decennio.
Erano dati sottostimati o è cambiato qualcosa?
«È cambiato tutto. Quello studio si basava sulla tenuta delle strutture di offerta turistica. Allora i posti letto erano 10 mila, l’obiettivo era che la domanda non eccedesse l’offerta. Oggi siamo a 30 mila. Il rapporto è saltato».
Dunque quei limiti non valgono più?
«Oggi bisognerebbe calcolare quanto manca alla saturazione».
La città soffre, il turismo da risorsa è diventato un problema.
«Non ci sono meccanismi di mercato che bloccano questa evoluzione, la trasformazione dei negozi e delle case in strutture turistiche extralberghiere. Dunque bisogna intervenire. Ed è già tardi».
C’è una responsabilità della classe politica che in questi anni non è intervenuta in modo efficace.
«Indubbiamente sì. Quand’ero sindaco avevo avviato un controllo dei bus turistici. Allora era anche più difficile, non c’erano gli strumenti per conoscere i dati degli arrivi in tempo reale. Oggi possiamo sapere quanta gente ha acquistato il biglietto nel mondo per arrivare a Venezia in treno un determinato giorno. Quindici anni fa non si sapeva».
Si è lasciato fare al mercato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Quando lei era sindaco è arrivato il Giubileo.
«Anche allora si parlava del problema dei giornalieri. In realtà quello che dopo è esploso è il problema dei pernottanti. Le strutture alberghiere ed extra alberghiere in città si sono moltiplicate. Adesso bisognerebbe tornare indietro. Ma non è facile cancellare un albergo e far chiudere un’attività economica».
Dunque non c’è soluzione?
«Certo che c’è. Dovremmo imparare dagli altri. A Barcellona e a Berlino hanno bloccato i Bed and breakfast, facciamolo anche noi. Abbiamo le app, i telefonini, le prenotazioni. Non servono più le sbarre per bloccare l’accesso. Si può introdurre la prenotazione obbligatoria. E forse non basterà».
La città è stata trasformata a uso di bar, botteghe turistiche, alberghi. C’è anche il problema dei plateatici.
«Il suolo pubblico è occupato da sedie e tavolini. Io proporrei di far pagare per il plateatico un costo uguale a quello dell’affitto del locale. Forse sarebbe un modo per scoraggiare chi vuole avere la concessione».
Torniamo ai turisti. Troppi. Come si fa?
«Il problema fondamentale non è il controllo dei flussi, ma dell’offerta. Bisogna innestare la marcia indietro».
Le grandi navi contribuiscono al turismo mordi e fuggi.
«Abbiamo dimostrato che quelli sono una percentuale minima del totale, il problema non sono le grandi navi. E togliendo le navi si danneggia l’economia. La diminuzione dei traffici toglie lavoro, fa aumentare i prezzi. È una catena che si ripercuote sulla vita di tutti».
Venezia rischia di essere soffocata dal turismo.
«Sì ma se non vogliamo il turismo dobbiamo dare qualcos’altro».
Esempio?
«Abbiamo una grande economia portuale che si può anche sviluppare se realizziamo alcune infrastrutture».
L’Off-shore?
«Eh certo. Solo così potremo sviluppare in ottica futura i traffici nell’Adriatico. Portare lavoro, come il lavoro lo porta la cultura. Queste sono alternative al turismo. L’abbiamo proposto al governo. Aspettiamo risposte».
Lei è ottimista?
«Non tanto. Venezia è un unicum. Ma dal governo arrivano risposte settoriali. Non c’è visione strategica di lungo periodo».
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