«Troppe carte e tasse, ora basta» Priviero getta la spugna e chiude

Giorgio è l’erede di una famiglia di esercenti che avviò l’attività ben 135 anni fa Giù la serranda nell’ultimo negozio di calzature gestito dalla famiglia jesolana
SCATTOLIN - TOMMASELLA - JESOLO - PRIVIERO GIORGIO ( CON CAMIVIA A FIORI NERA) FESTEGGIA LA CHIUSURA DELL'ATTIVITA'
SCATTOLIN - TOMMASELLA - JESOLO - PRIVIERO GIORGIO ( CON CAMIVIA A FIORI NERA) FESTEGGIA LA CHIUSURA DELL'ATTIVITA'



Chiude il negozio di calzature “Priviero” a Jesolo Paese, ieri mattina l’addio commosso del patron Giorgio, erede di una storica dinastia di commercianti jesolani, fratello del compianto Antonio, ex consigliere comunale, e del direttore di banca Eros. Dopo ben 135 anni i Priviero non hanno più negozi di scarpe a Jesolo. Questo in via Cesare Battisi a Jesolo Paese, nel cuore del centro storico, era l’ultimo, dopo quello gestito anni addietro in piazza I Maggio e altri 3 al lido. Era arrivato alla quarta generazione.

Giorgio era rimasto l’unico dei fratelli che ancora stava dietro al bancone, ricordando i tempi d’oro in cui queste famiglie hanno costruito davvero dinastie commerciali. Oggi, i figli, Massimo e Martina, non hanno raccolto l’eredità del papà Giorgio e lavorano in settori diversi. Giuseppe studia in Giappone per perfezionare la lingua, appassionato d’arte, Martina è una apprezzata scrittrice di romanzi che raccontano la società moderna con un pizzico di passione ed erotismo.

Così, a 68 anni, da 6 in pensione, Giorgio ha chiuso bottega con una grande festa cui hanno partecipano tutti gli amici più affezionati e i parenti di questa conosciuta famiglia. È stato un momento importante, cui ha partecipato anche il cugino Beppi Priviero, altro storico commerciante jesolano, e tanti altri “colleghi” che tengono ancora duro pur con fatica.

Un amarcord tutto jesolano, per mandare indietro le lancette del tempo e ricordare tutti assieme i tempi migliori in cui amicizia e correttezza erano alla base di tutto, nella vita come nel lavoro. Giorgio è sempre sorridente e beffardo con le sue battute sarcastiche e non ha peli sulla lingua: «Troppe carte e uno Stato che non aiuta più il piccolo commercio».

Così, in due parole, ha motivato una scelta comunque sofferta, ma che è dettata da una profonda stanchezza e disillusione. «Lo Stato non ci aiuta davvero e continuare con le nostre attività» dice Giorgio sconsolato «tra tasse, controlli, burocrazia che fanno morire i piccoli negozi. Dobbiamo controllare e ricontrollare i conti, fare la guerra con le carte e i documenti. Questo è sicuramente uno dei motivi principali che mi hanno indotto a compiere questa scelta».

Ma anche il mondo del commercio è cambiato in 50 anni di lavoro. «Noi avevamo tanti clienti affezionati», ricorda ancora Giorgio, «anche tra i turisti che venivano in vacanza, persino dall’estero, e compravano le scarpe. C’erano turisti tedeschi che venivano da noi a scegliere la scarpa da portare poi a casa, comoda, bella, da esibire con gli amici. Ma il mondo è cambiato totalmente. Oggi ci sono le vendite on line che creano una eccessiva concorrenza, la gente ordina in rete attende che il prodotto arrivi a casa, crede di spendere meno anche se poi magari rimane delusa e ha perso il rapporto umano con il venditore che era tutto per noi. E poi anche io sono stanco dopo 45 anni ininterrotti di lavoro, perché anche quando studiavo venivo in bottega con i miei genitori e i miei fratelli».

Anche al lido, poi, le cose sono cambiate con il passare dei decenni. «Ci sono tanti negozi e commercianti improvvisati» conclude «disordinati, soprattutto stranieri senza farne una questione di razzismo, che vendono cianfrusaglie e rovinano il commercio in generale. Non è più il lido di un tempo, bello, colorato. Oggi regna la confusione, i negozi di scarso lavoro che finiscono poi per abbassare il generale livello di qualità e servizio offerto». —



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