«Troppa fretta sul Mose, noi non faremo le cavie»

Bettin tira il freno : «Basta con le logiche emergenziali su un’opera così.  Prima di completarlo bisogna verificare il funzionamento delle dighe»

VENEZIA. Un film già visto. Sull’onda dell’emergenza si accelera sulla grande opera. Si chiedono poteri speciali, si tira dritto di fronte alle alternative e alle obiezioni. Lo sostiene convinto Gianfranco Bettin, protagonista delle lotte ambientaliste e già assessore all’Ambiente, oggi presidente della Municipalità di Marghera. «Si sta replicando in questi giorni», spiega, «lo stesso meccanismo che ha portato Venezia nella trappola del Mose: una logica emergenziale in presenza di eventi meteo impattanti, che spinge nella sola direzione della grande opera, ignorando ogni alternativa».

Bettin attacca le «pressioni» di questi giorni: «Si spinge acriticamente per completare il Mose ad ogni costo e in tempi brevi», continua, «o brevissimi, a sentire il provveditore Linetti che vorrebbe già azionarlo in primavera». «La cosa da fare invece», prosegue, «è sottoporre a scrupolosa verifica quanto si è fatto finora, correggere i difetti e i guai emersi come la corrosione, lo stato delle cerniere, la tenuta delle paratoie, le infiltrazioni».

Non un freno al «fare» ma un invito a non dimenticare gli eventi degli ultimi anni. «Il Mose», sottolinea Bettin, «non è mai stato sottoposto a una vera Valutazione di Impatto ambientale. Nessuna reale sperimentazione del suo funzionamento è mai stata attuata, e quindi i Veneziani faranno da cavie».

La strada, secondo Bettin, è chiara. «Prima di alzare le paratoie», la proposta, «bisogna essere certi che il sistema funzioni e regga. Ci si immagina cosa succederebbe se cedessero una o più paratoie? L’acqua alta che cresce e allaga la città crea disagi e danni. Ma un’onda improvvisa provocata dal cedimento di una paratoia provocherebbe un effetto tsunami devastante». Non è teoria, ma «possibilità paventata da tecnici e scienziati», dice Bettin. «Servono massima lucidità, trasparenza (mancata almeno fino al 2014) e sicurezza. È quanto deve garantire il governo, e su cui deve vigilare il Comune».

Una presa di posizione importante, che ricorda come la questione del Mose non nasca in questi giorni. Polemica trentennale, tra chi sosteneva che si dovesse prima affrontare il riequilibrio della laguna e attuare difese locali. Chi invece ha sempre puntato sulle dighe. Dovevano essere pronte a metà degli anni Novanta e costare un miliardo e mezzo di euro. Adesso si parla del 31 dicembre 2021 e di una spesa vicina ai 6 miliardi.

Ma i riflettori si sono riaccesi dopo l’acqua alta eccezionale del 29 ottobre. «Non si sono mai considerate le alternative, e tutte le risorse sono state date al Mose», dice Bettin, «con la conseguenza che per 15 anni non si sono fatti interventi di manutenzione e di difesa locale. E che la città e la piazza San Marco oggi sono indifese».

Polemiche non soltanto fra i favorevoli e i contrari alla grande opera. Ma anche all’interno di chi dovrebbe portarla avanti. In questi giorni il ministro e il presidente dell’Anac Raffaele Cantone si dovranno confrontare sulla strada da prendere per la gestione dell’opera, ormai vicina alla conclusione. Una gestione che costerà almeno 100 milioni di euro l’anno.
 

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