Tre ore di buio nella vita di Lida In quegli istanti l’omicidio
Perché l’omicida ha colpito Lida Pamio in modo così feroce? Aveva dei motivi di rancore nei confronti dell’anziana 87enne residente in un piccolo appartamento al secondo piano di viale Vespucci 13? Sono le domande alle quali stanno cercando di rispondere in queste ore gli investigatori della Squadra mobile di Venezia guidati da Marco Odorisio, anche scavando nella vita dell’anziana - vedova e con un figlio morto in un incidente stradale sul Terraglio nel 1981 - e dei suoi rapporti parentali e di amicizia, pur senza escludere nessun’ altra ipotesi investigativa.
Il luogo del delitto. Di fronte all’ingresso una libreria: a destra il corridoio, che finisce con la stanza da bagno. Sulla destra del corridoio la camera da letto, sulla sinistra prima il soggiorno, e subito dopo la sala da pranzo - o tinello - con piccolo cucinino: in un angolo i fuochi e in quello opposto il lavabo. È questa la stanza del delitto: l’anziana è stata trovata supina, tra il cucinino e la sala, con un coltello conficcato nel cuore, ferita a morte da dieci coltellate inferte con quattro lame differenti, tre delle quali si sono spezzate. La televisione del soggiorno accesa. Sul portone blindato d’ingresso all’appartamento nessun segno di effrazione. Chi ha ucciso Lida la conosceva, o aveva conquistato la sua fiducia per entrare.
L’ora del delitto. Dopo essere stata dalla parrucchiera, alle 14.28 la donna era al telefono con il nipote, che di lì a poco avrebbe dovuto portarla a fare una visita medica all’ospedale. Tra le 17.10 e le 17.30 la scoperta del corpo, sempre da parte del nipote, entrato con le chiavi portategli dalla moglie dopo che l’anziana non rispondeva al telefono. Tre ore sulle quali la Squadra mobile sta cercando di fare chiarezza, a partire dai filmati delle telecamere della zona, che potrebbero aver ripreso l’omicida - ma non è escluso che potessero esserci qualcun altro - allontanarsi dall’appartamento.
Le indagini. Con gli ultimi rilievi di venerdì la scena del delitto è stata, come si dice in gergo, cristallizata. La polizia scientifica ha repertato e documentato elementi utili all’indagine, compresa una traccia di sangue su un interruttore. È probabile inoltre che nella colluttazione l’omicida sia rimasto ferito, e in qualche macchia di sangue (ve ne sono solo in cucina) potrebbe “nascondersi” il suo dna. Per cercare di ricostruire quanto accaduto giovedì pomeriggio e cercare un movente i poliziotti della Mobile hanno ascoltato le dodici famiglie del condominio dove viveva la donna, e hanno esteso il cerchio alle case vicine e ai negozianti. Al momento, non risulta che siano state udite grida di aiuto, e questo avvalora l’ipotesi che la donna abbia aperto a qualcuno di conosciuto, o di cui si fidava. Alcuni vicini sostengono che l’anziana - casalinga che si sosteneva con la pensione - avesse da tempo deciso a chi lasciare la proprie eredità, un aspetto sul quale i poliziotti, come da prassi in casi come questi, stanno lavorando. «Non ne so nulla in merito» si limita a dire Franco Magagnini, il nipote che l’ha trovata e che ha chiamato la polizia. Tra gli altri nipoti della donna c’è Silvano Pamio, settantenne di Zelarino. «Non la vedo da una decina d’anni» spiega «anche se da ragazzi abbiamo vissuto nelle stessa casa».
Il criminologo. Gli investigatori ritengono che l’anziana possa aver aperto a una persona conosciuta, ma non escludono l’ipotesi che lo abbia fatto a qualcuno capace di conquistarsi la sua fiducia. «Un finto tecnico del gas, o una figura simile» sostiene il criminologo Francesco Bruno, docente alla Sapienza «un uomo, di corporatura media e non grande, se no la colluttazione non avrebbe avuto questa dinamica. Un uomo che probabilmente pensava di poter fare un colpo semplice, al quale è sfuggita di mano la situazione».
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