Trasferiti altri cinquanta profughi
CONA. Sarà stata la rivolta dei migranti, sarà stata la battaglia condotta dal sindaco di Cona, Alberto Panfilio, ormai logorato e stremato da tre anni di gestione infruttuosa dell’immigrazione nel suo Comune, sarà stata la prefettura, fatto sta che Conetta si prepara allo sfoltimento. La settimana prossima quindici trasferimenti e nel giro delle prossime due settimane si arriverà a trasferirne cinquanta totali. Le strutture dove andranno a finire, sono già state individuate, ma si mantiene ancora il massimo riserbo. Sono tutte in Veneto. Questo vuol dire che l’ex base militare di Conetta che l’estate scorsa era arrivata a ospitare oltre 1.600 profughi , ora arriverà a quota 669. Ora sono 719. Meno di settecento ma comunque ancora tanti per garantire una accoglienza dignitosa. Soprattutto lì, DOVE da tre anni, sono ben piantate nel terreno le tende.
Tende dove dormono ammassati, tra letti, tavole di pietra e compensato, anche 140 persone per tenda. «Le tendopoli», aveva più e più volte ribadito il sindaco di Cona, Panfilio, «sono degne di un paese come il Libano. Chiedo al Governo – aveva detto – di chiudere Conetta, di chiudere questa triste pagina di questa triste storia dello Stato italiano».
Un appello, anzi tanti, tantissimi, rimasti inascoltati. Ci avevano pensato i migranti a farsi sentire il 13 novembre scorso, quando cominciò tutto. Lì i richiedenti asilo iniziarono a protestare, scesero in piazza, nelle strade, marciando e tuonando in coro “Cona no buono, Cona no buono, andiamo, andiamo”. Poi insieme il 15 novembre si erano messi a marciare su Venezia. Il caos totale. Per quindici giorni i profughi se ne erano andati in giro per il Veneto, finendo accampati davanti alle chiese, dentro i patronati, davanti ai comuni, dinnanzi alle prefetture e chiedendo incontri con il prefetto lagunare. Di lì, la decisione di trasferire 248 migranti, a cui poi se ne aggiunsero altri. Ora la prefettura ha disposto il trasferimento di altre cinquanta persone.
Una realtà quella di Conetta, che è finita più e più volte, nelle pagine e nei media dei quotidiani nazionali. Quindici etnie sono passate dentro quel campo profughi. Quindici: Nigeria, Guinea, Zambia, Senegal, Mali, Costa D’Avorio, Bangladesh, Pakistan, Afghanistan, Sierra Leone, Somalia, Etiopia, Congo, Ghana e Camerun. Tutti con le loro credenze. Tutti con i loro menù. E per fare un menù che andasse bene per tutti ci sono voluti sei mesi.
Serenella Bettin
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