Transgender, legge dimenticata «Ora basta, partono i ricorsi»

Si accede il dibattito dopo il caso, riaperto dal Tar, del poliziotto licenziato perché vestiva da donna Una norma regionale del 1993 prevede l’assistenza, mai applicata. Seibezzi: storia inquietante
Di Roberta De Rossi

«Questa povera anima in pena è stata lasciata sola e, così, centinaia di uomini e donne. Eppure, la Regione Veneto ha una legge che obbliga all’assistenza sanitaria pubblica dei transessuali e delle loro famiglie: peccato sia totalmente inapplicata dal 1993. Vent’anni di nulla». È un fiume in piena Alessandra Gracis, l’avvocato trevigiano che due anni fa, a 52 anni, nato uomo è diventata donna.

A infiammarla, il caso del poliziotto veneziano cacciato dalla Polizia nel 2007 perché si travestiva da donna al di fuori dell’orario di lavoro: dopo due sentenze negative del Tar e del Consiglio di Stato, a sette anni di distanza, i suoi nuovi avvocati hanno ottenuto dai giudici amministrativi la riapertura del procedimento disciplinare. In mano, certificati medici che attestano Giorgio Asti come transgender: «Una persona che andava aiutata, assistita, non abbandonata», dice il suo avvocato, Alfredo Auciello, «ora è certamente soddisfatto per questa decisione, ma molto provato, anche perché la strada è lunga».

«La legge 22/93 prevede anche che presso i consultori ci siano psicologi per assistere le persone transgender e le loro famiglie, che si individuino percorsi con l’endocronologo e lo psichiatra, fino all’intervento, per chi decide di farlo. Stabiliva che entro 30 giorni da allora dovevano essere identificati i centri di riferimento: ancora aspettiamo».

«Nulla di nulla è stato fatto», incalza, «ogni persona è lasciata sola davanti al proprio doloroso percorso di affermazione d’identità: si preferisce magari pagare 30-35 mila euro del servizio pubblico per far operare una persona in un’altra regione, dove si fanno pochi casi l’anno, invece di dare ai propri cittadini l’assistenza prevista dalla stessa legge. E ci sono uomini e donne che finiscono “torturati” per anni da interventi mal riusciti o non assistiti: io mi sono fatta operare a San Francisco, ho potuto pagare 25 mila dollari, molto meno di un intervento in Italia e in tre giorni ero fuori. Possibile che si sia così sordi in Veneto? Ora passiamo alle citazioni. È un’obbligo rispettare una legge della regione per ogni cittadino, ma non per la Regione stessa? Ho tempestato di telefonate il presidente Zaia e l’assessore Coletto per invitarli a discuterne assieme come fare: nessuna risposta e il risultato sono casi di grave difficoltà come quest’uomo lasciato solo o il dramma di una ragazza di Treviso che, non potendo operarsi in Veneto, è andata a farsi letteralmente massacrare in un piccolo ospedale della Liguria, dov’è stata ricoverata un anno e che costerà alla sanità veneta un milione di euro. E, come lei, altri: ora partiamo con le richieste di risarcimento danni in Tribunale».

Intanto, Venezia è stata scelta dalle associazioni in difesa dei diritti di gay, lesbiche, transgender per l”Onda Pride” del 28 giugno, festa-corteo in difesa dei diritti civili delle persone con diverse identità sessuali.

«La vicenda professionale ed umana di Giorgio Asti ben descrive come il concetto di decoro nel nostro Paese confonda il pregiudizio con la dignità e il rispetto dovuto ad ogni persona», commenta la delegata per i Diritti civili e contro la discriminazione, Camilla Seibezzi, «inquietante pensare come la vita di Asti abba potuto trasformarsi ingiustamente in un piccolo inferno quotidiano: ancora una volta sono i tribunali a sollecitare un Paese a essere più civile. Cerchiamo di fare la nostra parte in Comune per istituire un servizio che possa dare ascolto anche a questa parte della popolazione».

«In una società come quella italiana, dove vi è forte omofobia e transfobia, vivere la propria identità di genere può essere molto doloroso: se non c’è modo di vivere serenamente si sfocia nella malattia», commenta il deputato Alessandro Zan, impegnato sul fronte dei diritti Lgbt, «il Tar ha finalmente riconosciuto una disparità di trattamento nei confronti di persona ingiustamente espulsa e lasciata sola. In altri paesi più emancipati, Germania, Francia, Spagna, non sarebbe mai accaduto: pensiamo ai poliziotti, magistrati, avvocati che sfilano al gay pride. Invece siamo molto indietro e rischiamo per questo di subire infrazioni da parte della corte internazionale europea. A livello parlamentare, ad esempio, tutto è fermo sul fronte della legge contro l’omofobia: approvata alla Camera è bloccata da mesi in Senato dal fronte degli integralisti cattolici. Un altro danno del bicameralismo perfetto».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia