Traffico rifiuti illeciti a Noale, nei guai i vertici Cosmo

NOALE. Traffico illecito di rifiuti alla Cosmo Ambiente: chiuse le indagini a carico di Claudio Cosmo, amministratore delegato della società, Nicola Cosmo, presidente del consiglio di amministrazione, e Francesco Valori, fino al 2016 responsabile tecnico. Alla ditta il sostituto procuratore Giorgio Gava contesta, in qualità di persona giuridica, di aver violato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa nei confronti delle figure apicali che hanno commesso un reato. L’avviso di chiusura delle indagini è stato notificato alle parti. Si tratta dell’atto che normalmente precede la richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura. Nei prossimi venti giorni, gli indagati potranno farsi sentire dal pm, depositare memorie o indagini difensive. Il traffico illecito di rifiuti è un reato che si prescrive in 12 anni.
I fatti contestati risalgono al periodo tra il 2013 e il 2016. L’indagine della Direzione distrettuale antimafia è venuta allo scoperto lo scorso novembre quando i Carabinieri Forestali di Mestre avevano sequestrato oltre 280 mila tonnellate di rifiuti contaminati che erano stati mescolati con rifiuti in regola per ottenere un materiale, chiamato “Ecocem”, da usare per sottofondi e rialzi stradali. Un cumulo di 80 mila tonnellate era stoccato in un’area adiacente l’impianto di Noale mentre le altre 200 mila nella cava Campagnole di Padernello di Paese, nel Trevigiano. A dare lo spunto all’indagine, un’intercettazione nell’ambito dell’inchiesta sul sistema di mazzette architettato da Claudio Ghezzo, ex direttore commerciale di Veritas, nel quale lo stesso Ghezzo diceva di fidarsi, per lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto, in particolare di due aziende del Veneziano, tra cui proprio la Cosmo. Era il 2015. A quel punto il pm aveva proceduto allo stralcio della parte relativa alla Cosmo che ha dato origine all’inchiesta appena chiusa.
I prelievi effettuati dalla Procura in alcuni dei cantieri nei quali la Cosmo Ambiente fornì i propri materiali avevano fatto registrare degli sforamenti nei parametri di legge. Per gli inquirenti, la Cosmo incassava i soldi per il trattamento dei rifiuti da chi conferiva il materiale, ma grazie alla procedura non rispettosa delle norme aveva meno spese e impiegava meno tempo, con il risultato di produrre più “Ecocem”. La ditta controllava i valori dei metalli pesanti attraverso il cosiddetto test di cessione prima che alla miscela venissero aggiunti calce e cemento che hanno la capacità di aumentare il grado di rilascio dei metalli pesanti in caso di dilavamento. Così i valori di inquinanti venivano “diluiti” e il test era conforme. Ma per la Procura il test doveva essere fatto a prodotto finito, non in itinere.
«Nessun inquinante è stato rilasciato nel terreno, nell’aria e nell’acqua. Le analisi eseguite da terzi lo testimoniano. I titolari hanno sempre operato nel rispetto del luogo dove hanno insediato l’attività e dove hanno scelto di vivere e dove vivono i loro dipendenti. Nessuna terra dei fuochi, nessuna correlazione con l’insorgere di malattie», avevano chiarito i titolari nei giorni successivi al maxi sequestro attraverso l’avvocato Domenico Giuri. I lavoratori, con una lettera aperta, si erano schierati al fianco dell’azienda.
Il caso era diventato anche politico, con scambio di accuse tra maggioranza e opposizione sia a Noale che a Paese, ed aveva raggiunto anche la Camera con l’interrogazione di Nicola Pellicani (Pd). Ora la chiusura dell’indagine penale, mentre nei giorni scorsi il Tar ha rinviato a giugno la decisione sulle prescrizioni date dalla Regione, ritenute troppo limitanti. Cosmo ha presentato ricorso assieme ad altre ditte venete che trattano rifiuti. La Regione sta mettendo mano alla delibera e quindi l’interesse della Cosmo al ricorso potrebbe decadere. —
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