Tra rabbia e sgomento «Non può finire così»
Un vecchio slogan del Partito comunista diceva così: Veniamo da lontano e andiamo lontano. Ecco, il punto è che adesso «non ci ricordiamo più da dove veniamo, e non sappiamo ancora dove siamo approdati».
Nelle parole di Antonio Cossidente, segretario Pd del circolo di Marghera, c’è lo smarrimento dei militati del partito nato dieci anni fa dalla fusione tra la sinistra e i cattolici riformisti (la Margherita) oggi alle prese con la scissione di parte della Sinistra del Pd. Uno strappo che, nello stato d’animo dei militati, frulla scelte politiche e storie personali, amicizie e scatole di latta piene di tessere di partito che raccontano la storia di questo quartiere, dall’epopea alla disgregazione del polo chimico-industriale. «Uscire dal Pd vorrebbe dire anche abbandonare amici e compagni con i quali ho lavorato per 50 anni», dice Cossidente, che guida il circolo da quando è nato il partito. Sono 107 gli iscritti, soprattutto ex Pci-Pds-Ds, e nella sede di Catene in questi giorni non si parla d’altro che del futuro del partito. «E’ una vendetta del baffetto D’Alema», «Macchè, Renzi ha distrutto il partito», «E allora che fai, molli tutto e te ne vai?». Gli animi si scaldano. Luciano Giuponi, 77 anni, ex meccanico dei vaporetti al cantiere Actv dell’isola di Sant’Elena, è uno che arriva dal Psiup, il Partito socialista italiano di unità proletaria che nel 1964 nacque da una scissione, a sinistra, del Psi dell’epoca. «Alla sinistra è sempre piaciuto staccarsi, un po’ più a sinistra», si arrabbia, «ma in questa vicenda c’è un 20% di politico e un 80% di personale».
Sia chiaro, Giuponi non è renziano. «Non l’ho votato, si è comportato da padre-padrone. Ma lo si critica da dentro il partito: con il congresso la minoranza può diventare maggioranza. Si è dimesso e c’è chi dice che non si può ricandidare e questa mi sembra una decisione degna di un Soviet». Nei circoli le cose si dicono ancora in faccia, nessuno usa twitter, al massimo facebook per restare in contatto con figli e nipoti, lontani per lavoro. I militanti indecisi sono ancora molti anche se i riferimenti locali, come i parlamentare come Michele Mognato, Davide Zoggia, Delia Murer sono tutti pronti ad andarsene dal partito, seguendo Bersani. Per decidere che ne sarà degli iscritti, al circolo di Marghera sarà presto convocata una riunione. Perché sembra impossibile che, da domani, si debba stare in partiti diversi, sedi diverse, con tessere diverse e banchetti diversi, già rivali e si spera non ancora ostili, dopo dieci anni a fare politica insieme, come si fa ancora nei circoli. Dove il peso dei ricordi rischia di schiacciare le speranze per il futuro e dove i giovani non si vedono, nonostante un segretario in chiodo come Fonzie - lo indossò ad Amici, nel 2013 - e molto abile nell’uso del social. Alberto Restucci, 24 anni, figlio dell’ex rettore dell’Università Iuav, è da un anno a capo dei giovani democratici di Venezia.
Dopo una laurea in Arti Visive e Teatro, si sta preparando per uno stage in uno studio di fotografia a Milano, e intanto lavora come maestro di sci. La sua iniziazione alla politica è stata con il «discorso del Lingotto», nel 2007, con cui Walter Veltroni segnò l’orizzonte del partito. «Per me quel progetto resta ancora valido», spiega Restucci, «e non credo che possa esistere un centrosinistra senza il Partito democratico. Ha ragione chi dice che lo scollamento con una parte degli elettori, compresi i più giovani, c’è stato, ma non credo che questo sia un motivo valido per andarsene. L’errore è stato del segretario, non è stato capace di fare sintesi con la sinistra del partito ma, se pur critici, bisogna restare dentro il partito, come fanno Gianni Cuperlo o Andrea Orlando». La maggior parte dei ventenni del partito la pensa allo stesso modo - «Dobbiamo restare nel partito» - ma il problema del Pd sono soprattutto i giovani fuori dal Pd, che guardano con simpatia ad altri soggetti politici, tra tutti il Movimento Cinque Stelle.
In tutta l’area metropolitana del Veneziano non sono più di cinquanta gli iscritti - studenti e professionisti - ai Giovani democratici. «E’ vero, è un dato preoccupante, ma ora stiamo lavorando per riconquistarli», ammette fiducioso Restucci. Lo sa bene anche Giuliana Domestici, segretaria dei circolo Pd del sestiere di Castello, in centro storico, dove i tesserati - le iscrizioni si stanno chiudendo proprio in questi giorni - probabilmente non saranno più di sessanta. La biologia ha la meglio sulla politica. «Alcuni anziani iscritti sono passati a miglior vita, rimpiazzati solo in parte dai giovani». La segretaria del circolo, 48 anni, rappresenta l’altra formazione politica confluita nel Pd, quella della Democrazia cristiana, del cattolicesimo riformista. Giuliana Domestici non ha dubbi, la pensa come Prodi: la scissione è un suicidio.
Spiega così le sue ragioni: «I segretari passano, mentre i partiti restano. Le correzioni al programma sono legittime ma la questione fondamentale è questa: salvare l’idea del partito». La colpa, è la sua riflessione, va equamente distribuita. «A partire da un segretario che, in virtù del suo ruolo, doveva impegnarsi di più per cercare un dialogo». Ma senza risparmiare quella parte del partito, a sinistra, «che non può vantare titoli di nobiltà, non ci sono linee di successione dinastica. L’idea di un grande partito non può finire così».
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