«Torta ha ucciso con premeditazione»
Omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà delle sevizie che ha inflitto alla sua anziana vittima, la vicina Nelly Pagnussat che chiamava “zia”, massacrata a colpi di martelletto nel luogo dove lei si sentiva più sicura, la sua casa. Ma anche vilipendio di cadavere - per avere fatto a pezzi il corpo della donna con una sega elettrica e in parte averlo triturato, con attrezzi industriali che si era procurato qualche giorno prima, insieme a grandi teli in plastica - nel tentativo di occultarne il corpo. Sono queste le accuse dalle quali il 29 dicembre si dovrà difendere in sede di udienza di rinvio a giudizio il 68enne Riccardo Torta. Contro di lui, la Procura muove un’ulteriore aggravante, quella della “recidiva specifica”: perché Torta ha già ucciso nella sua vita ed è stato condannato per la morte di un giovane finanziere, centrato dal pesante masegno che lui - all’epoca giovane contrabbandiere di sigarette - aveva lanciato dal Ponte dell’Accademia sulla barca dei finanzieri che gli stavano dando la caccia. Era il 1973. La diagnosi di schizofrenia non l’aveva salvato dalla condanna, scontata in manicomio criminale.
Nei giorni scorsi, agli avvocati difensori Antonio Bortoluzzi e Giorgio Bortolotto e ai legali della famiglia dell’anziana, Renato Alberini e Mauro Ferruzzi, è stata notificato l’atto con il quale la pubblico ministero Laura Cameli ha chiuso le sue indagini, chiedendo il rinvio a giudizio dell’omicida: il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza ha messo in calendario l’udienza preliminare per il 29 gennaio.
Un delitto atroce, quello del quale è rimasta vittima Nelly Pagnussat, avvenuto il 15 gennaio di quest’anno. Un processo - quello che si aprirà a breve - che certamente molto verterà sulla capacità di intendere e volere dell’uomo: la Procura è forte della perizia firmata dallo psichiatra Alessandro Marcolin e dal medico legale Claudio Rago - nominati dallo stesso giudice delle indagini preliminari Scaramuzza - per i quali Torta è sì affetto da un disturbo schizofrenico residuale, che ne ha alterato la percezione della realtà al momento del delitto, «senza tuttavia abolire le sue capacità di intendere e volere», chiarendo come l’uomo abbia premeditato il delitto, sia in grado di partecipare al processo. Conclusioni diametralmente opposte a quelle del consulente della difesa, lo psichiatra Gian Paolo Urbani, per il quale Torta è totalmente incapace di intendere e volere, ritenendo tuttora invalidante la schizofrenia per la quale l’uomo era seguito dai servizi dell’Asl. La difesa dovrà decidere se scegliere il rito abbreviato, basandosi sugli atti e godendo di un terzo di sconto della pena, o cercare di convincere una Corte d’assise con giuria popolare dell’incapacità di intendere e volere dell’omicida.
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