Torre Cardin, il vincolo sulla strada del progetto

Oggi in Regione prima Conferenza dei Servizi. Italia Nostra chiede «il rispetto della legge». Settis attacca dall’Accademia di Francia. Il Comune: «Tutto in regola»
Di Alberto Vitucci

«La Torre Cardin? Una torre di Babele, massima espressione di quella concezione che vuole Venezia nuova Disneyland, svuotata di abitanti e produzione, città di cartapesta più che città storica. Occorre fermare i nuovi barbari, che di Venezia hanno fatto il massimo bersaglio». Lo storico dell’arte Salvatore Settis, ha esordito così davanti ai soci dell’Accademia delle Iscrizioni delle Lettere di Francia. Una lectio magistralis replicata all’Ateneo veneto e pubblicata quasi integralmente sulla Suddeutsche Zeitung. E un grido di allarme contro la realizzazione di quello che viene definito «un ecomostro». Quella di Settis è una delle centinaia di firme dell’appello «Cardinnograzie» (visibile sull’omonimo sito) inviato al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per fermare il grande progetto in riva alla laguna. Progetto che però, sostenuto dagli enti locali veneziani va avanti. Stamattina in Regione è convocata la prima Conferenza dei servizi che dovrebbe esaminare la documentazione. Un atto che prelude alla firma della convenzione tra Comune e lo stilista italo-francese, da cui il Comune dovrebbe ricavare 40 milioni di euro per la vendita dei terreni necessari alla costruzione delle infrastrutture dell’opera. Gli altri terreni sono di proprietà di privati, del gruppo Mevorach e di Damaso Zanardo con cui sono stati sottoscritti dei preliminari.

Ma c’è un nodo da sciogliere. Secondo il ministero dei Beni culturali il progetto va esaminato dalla Soprintendenza per via del vincolo paesaggistico. Vincolo che ne impedirebbe l’approvazione senza che ci sia stato il parere, appunto, della Soprintendenza. Tesi sostenuta anche dai legali di Italia Nostra, che hanno inviato nuova documentazione al ministero, alla Procura di Roma e ai carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio artistico. «Esiste il Codice dei beni culturali e del Paesaggio, diventato legge nel 2004», dice il presidente nazionale di Italia Nostra, avvocato Marco Parini, «il terreno interessato dal Palais Lumiere è escluso dalla planimetria perché esterno alla laguna. Ma l’articolo 152 prevede che nel caso di interventi per impianti civili che abbiano vista sulle aree indicate (la laguna) “siano prescritte le distanze, le misure e le varianti ai progetti idonee ad assicurare la conservazione dei valori espressi dal bene protetto”».

Dunque, scrive Parini al ministro Ornaghi, «l’impatto paesaggistico devastante, di giorno e di notte, del nuovo grattacielo impone cautela e rispetto della legge». Legge che secondo i tecnici dell’Urbanistica sarebbe invece rispettata. «Quelle aree non sono soggette ad alcun vincolo, perché lontane dal mare», dicono, «è la tesi che Comune, Provincia e Regione sosterranno già stamani. Per dimostrare che un grattacielo, anche se risulterà il più alto d’Italia con i suoi 250 metri, circa il triplo della collina dove sorge Asolo, non ha alcun bisogno del permesso della Soprintendenza. La battigia, sostengono, non può essere parificata alle aree industriale, dove fabbriche e molti edifici sono sorti senza i pareri della Soprintendenza. La politica spinge, i tecnici hanno idee diverse. E sulla vicenda è stato presentato alla Procura di Roma un dettagliato esposto che chiede di far luce sull’intera vicenda.

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