«Tornerò con mio marito Barack»
VENEZIA. Tanto rumore per una guancia intravista dietro la tendina del motoscafo, per il lampo del pantalone bianco e la camicia nera sgusciati via dal muro della sicurezza e per i sorrisi concessi ai pochissimi che l’hanno scortata e omaggiata nella sua visita-lampo a San Marco. Appena un’ora, ieri pomeriggio, insieme alle figlie Maila e Sasha, prima tra i bagliori della Basilica con la melodia di un coro di ragazzi in sottofondo e poi nella quiete perfetta delle sale vuote di Palazzo Ducale mentre, fuori, si agitava il mondo. Forse meno rilassata rispetto a Milano, un filo più stanca di quando, la mattina, era sbarcata a Tessera, Michelle Obama ha brillato di distanza, senza concedere nulla in più di quello che era stato pianificato da mesi e, anzi, lasciando a bocca asciutta (in tutti i sensi) chi l’aveva aspettata per ore lungo le rive in un’eccitazione di cloonesca memoria.
La città, al suo arrivo, si è chiusa a cerchi concentrici, sorvegliata terra, acqua e cielo da cecchini, sommozzatori, cani anti-esplosivo, poliziotti, carabinieri, vigili urbani di ogni ordine e grado. Si è chiusa a cerchi sempre più piccoli, sbarrando via via Rughetta Sant’Apollonia, la fondamenta della Canonica, l’intero canale e l’infilata di ponti da quello della Paglia a quello del Remedio, fino a ridursi a un anello dalla circonferenza perfetta nel quale, dopo le 19, è entrata la first lady con il suo foltissimo seguito.
Preceduta dagli spruzzi di sei moto d’acqua della polizia, circondata da una ventina di motoscafi delle forze dell’ordine e seguita da un’ambulanza, Michelle Obama ha fatto il suo ingresso in Basilica attraverso la porta d’acqua del Palazzo Patriarcale mentre, intorno a lei, tutto spariva. Svanivano i turisti, si dissolvevano i veneziani, i negozi chiudevano le porte, i clienti venivano pregati di allontanarsi e i commercianti di non stare vicino alle vetrine nè di scattare fotografie.
Mentre il mondo circostante, pur agitatissimo, taceva, la first lady entrava come una regina accolta dal delegato patriarcale don Antonio Senno, dal sindaco Luigi Brugnaro (che non ha resistito al selfie) e dal primo procuratore di San Marco, Carlo Alberto Tesserin, che l’ha invitata a ritornare in città con il marito. «Lo porterò, sicuramente lo porterò, perchè Venezia è la più bella città del mondo» ha promesso la first lady mentre le due adolescenti di casa Obama tiravano il collo verso l’alto per vedere finalmente dal vivo i quattro cavalli in bronzo dorato di cui avevano letto tutto lo scibile.
Il tempo di restare a bocca aperta e già le donne di casa Obama erano tutte a Palazzo Ducale, ricevute, questa volta, dal presidente della Fondazione Musei civili Walter Hartsarich, il direttore Gabriella Belli e il responsabile di Palazzo Ducale Camillo Tonini. Solo mezz’ora, ma intesa, tra Sala dello Scrutinio, Sala del Maggior Consiglio e ponte dei Sospiri dal quale hanno intravisto la folla che, sulla riva, ancora aspettava.
Tanto rumore, questa volta, per intravedere la nuca lucente della first lady in partenza verso l’Hilton Molino Stucky, l’albergo della Giudecca scelto per la vista da paura della suite presidenziale e perché l’unico, a Venezia, in grado di ospitare le ottanta persone di staff che seguono le visite della Obama. In serata, dalle cucine dirette dallo chef Ivan Catenacci, la cena caloricamente corretta e poi tutte a dormire lassù nella torretta, a sessanta metri d’altezza.
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