Tomaso Filippi. Il fotoreporter della laguna che non c’è più
di Davide Massaro
STRA. Le macerie del campanile di San Marco immortalate in quella mattina del 14 luglio 1902 che scosse Venezia con un boato seppellendo la Loggetta del Sansovino e aprendo uno squarcio all’angolo orientale delle Procuratie Nuove. E poi arti e mestieri della Venezia ottocentesca che non c’è più, colta nei suoi momenti straordinari e ordinari. Scatti rubati alla quotidianità e ritratti di ambulanti e artigiani, fermo immagini sulle donne dell’epoca intente al lavoro sulle reti da pesca o a infilare perle e dette, in dialetto, le “impiraresse”. La maestosità della terrazza dell’Hotel Excelsior al Lido, la folla immane di fronte alla cerimonia inaugurale del campanile ricostruito che torna a portare luce, “com’era e dov’era”, con i suoi 98,5 metri di altezza, su una delle piazze più amate del mondo. Da domani al 3 novembre il Museo nazionale di Villa Pisani a Stra ospiterà la mostra “Venezia tra ‘800 e ‘900 nelle fotografie di Tomaso Filippi”, uno sguardo di centocinquanta immagini e una proiezione su schermo di trenta stereoscopie (una tecnica di realizzazione e di visione delle immagini con l’illusione della tridimensionalità che lascia sbalordito il visitatore) del fotoreporter ante litteram per ripercorrere gli usi e i costumi della Laguna di una volta. Un quadro fotografico di un’attività, quella di Tomaso Filippi, che rappresenta un eccezionale ventaglio degli interessi trattati dal fotografo: dal vedutismo alle scene di genere, alla documentazione dell’entroterra lagunare, allo studio generale delle arti e dei mestieri (comparabile alla prima fotografia sociale americana) che immortala il lavoro delle nascenti realtà industriali, l’attività culturale di Venezia ma anche e, soprattutto, quella di ogni giorno riprendendo la vita nelle calli, dei contadini nei campi e degli operai nelle fabbriche. Tomaso Filippi ha rinnovato completamente il modo di fotografare del suo tempo anticipando il linguaggio fotografico moderno. Girando per i quartieri popolari come la Giudecca o Castello, o le isole Torcello e Burano, trova ispirazione per le sue opere di quella Venezia che va di pari passo con quella monumentale, affascinante e signorile di Piazza San Marco o del Canal Grande. Dopo gli studi all’Accademia, attratto dal nuovo mezzo espressivo, entra a far parte dell’atelier fotografico di Carlo Naja, uno dei più celebri d’Europa, fino a diventarne il direttore. La mostra, promossa da Antonella Ranaldi della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, ideata e curata Giuseppe Rallo, direttore di Villa Pisani, con Myriam Zerbi e Daniele Resini, e organizzata da Munus in collaborazione con il Fondo Filippi, che conserva l’archivio fotografico all’Istituto di ricovero ed educazione di Venezia e che ne ha curato la schedatura e la catalogazione scientifica (circa ottomila negativi – lastre in vetro – e più di diecimila stampe originali) realizzato dal fotografo veneziano, è una esplorazione storica sbalorditiva di tutto il territorio lagunare.
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