Tolte le panchine del degrado a Mestre: linea dura contro i bivacchi

Parte il cantiere in via Carducci, davanti al Simply per allontanare gli sbandati. Residenti e negozianti divisi sugli effetti: «È un primo passo, speriamo bene». «È solo un palliativo, non cambierà niente»
Lavori in via Carducci a Mestre per riqualificare l'arredo urbano
Lavori in via Carducci a Mestre per riqualificare l'arredo urbano

MESTRE. È partita ieri mattina l’operazione “via le panchine del degrado”, da parte della società Carducci Srl, proprietaria del palazzo Agorà che ospita al pianterreno anche il supermercato del Simply. Scopo: togliere spazi al consueto bivacco davanti ai negozi, a fianco della fermata Actv o a ridosso della fontana all’angolo con via Felisati.

L’intervento dovrebbe terminare il 7 luglio: le panchine di muratura, private a fine marzo del legno delle sedute, dovrebbero essere tagliate a livello della cordonata e coperte con lastre di acciaio Korten per impedire di sedersi. Ieri mattina gli anziani che si recavano al supermercato, guardavano attoniti i lavori. «E adesso», commenta amara una signora col bastone, «andranno da un’altra parte».

Davanti al cantiere, i consueti gruppetti di curiosi. Sbandati e senzatetto bighellonavano all’angolo con via Felisati, occupavano il muretto della fontana. C’era chi dormiva sulla panchina della fermata, chi sotto i portici con tanto di valige. Per non parlare dei giardini di piazzale Donatori dove, tra fontane e panchine, c’erano solo posti in piedi. «Siamo molto arrabbiati», commenta Gaia. «Mestre è un piccolo centro, generalmente la delinquenza si concentra nelle zone della stazione, ma perché in tutti gli Stati per risiedere in una località serve un visto, un lavoro e soldi in banca e invece qui no? Possibile che per far togliere quelle panchine ci siano volute petizioni su petizioni?».

C’è pure chi ride per non piangere, come Raul, titolare del bar caffetteria Carducci: «Secondo lei bastano le panchine?», domanda ironico. «Come sempre pagano i contribuenti, ma quello che dovrebbero fare è farli sgomberare. Questo è solo un palliativo. È tutta la mattina che ce la ridiamo».

Mentre parla, nel suo bar entrano quattro sbandati che chiedono da bere e bicchieri di plastica, per poi uscire dopo una decina di minuti e tornare sulle panchine delle Poste. «Capisce cosa intendo? Ho comperato questo bar per una cifra: ora se vendo e prendo la metà sono bravo. E il palazzo “Agorà”? Chi comprerà? Hanno svenduto la città. Il problema va risolto alla radice».

«Sono felice», spiega Patrizia dell’Emporio dell’occhiale, «ma adesso speriamo che non si fermino alle panchine. Io sono blindata dentro, per entrare si deve suonare, ma non per i ladri, per la mia incolumità. Pago per mettere la pubblicità fuori dal negozio, ma è una sorta di bagno pubblico. Qualche mese fa avevo i barbanera sugli scalini del negozio. Sulle famose “vele” dei giardinetti delle Poste fanno persino sesso, di mattino». «Questo è un cesso», dice secco Mario Romano dell’omonima gioielleria. «Tolgono le panchine da lì, verranno tutti qui e continueranno a dormire sugli scalini di villa Erizzo».

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