VENEZIA. Il messaggio che non mancherà sarà quello del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Con lui ha condiviso la difficile esperienza della commissione parlamentare di indagine sulla P2: lui giovane commissario, lei presidente scelta da un accordo tra la Democrazia cristiana e il Partito Comunista perché donna e «persona perbene». Compie 88 anni Tina Anselmi, la prima donna ministro d’Italia, la mamma del sistema sanitario nazionale, la presidente della commissione P2, la giovane donna che davanti allo strazio della vendetta nazifascista decise di aderire alla Resistenza e iscriversi alla Democrazia cristiana. Aveva diciassette anni e un’età in cui si pensa ad altro: non lei, che scossa da quei trentuno corpi penzolanti sul viale di Bassano del Grappa, si mise a disposizione della brigata Cesare Battisti guidata dai fratelli Domenico e Gino Sartor. Prigioniera di un male che le cancella memoria, impedisce relazioni e richiede molto affetto, Tina Anselmi vive nella sua casa di via dei Carpani a Castelfranco, la città da cui non ha mai voluto staccarsi e alla quale ha dedicato il suo impegno pubblico, quando ancora la mente glielo permetteva: la presidenza della commissione pari opportunità del Comune. Proprio lei che fu una delle prime, negli anni Sessanta, a parlare dei diritti delle donne e che riuscì, al termine della sua carriera politica, a trasformare in norma di legge. Nata il 25 marzo 1927 a Castelfranco, maestra elementare, dopo la breve esperienza partigiana si iscrive alla Democrazia cristiana e scala tutti i gradini della carriera politica: da sempre vicina al sindacato cattolico, si occupa dei diritti delle operaie tessili e delle maestre, poi è incaricata dei giovani della Dc, entra a 32 anni nel consiglio nazionale della Dc nel congresso che elesse Aldo Moro segretario al posto di Fanfani. Nel 1968 viene eletta in Parlamento, dove si fa apprezzare per l’equilibrio e la sobrietà, lontana dai notabili e dai padroni delle tessere, tanto che non ebbe mai, tantomeno nel Veneto, una vera e propria corrente. Nel luglio 1976 diventa ministro del Lavoro nel terzo governo Andreotti: è la prima donna a ricoprire l’incarico di responsabilità di un dicastero. Nei successivi governi Andreotti IV e V è ministro della Sanità, dove realizza la riforma del sistema sanitario nazionale. Nel 1981, d’intesa con il Pci, è scelta per uno dei ruoli più delicati della storia della Repubblica: quello di presidente della Commissione di indagine parlamentare sulla P2. Sarà l’autrice della cosiddetta Legge Anselmi per lo scioglimento delle associazioni segrete. Sono gli anni del terrorismo, delle infiltrazioni piduiste nella società, del fallimento del compromesso storico. Nel 1992 Carlo Bernini la esclude dalle liste elettorali della Dc, alla vigilia di tangentopoli. Accetta con dignità il passo indietro, dedicandosi a quello che amava di più: la trasmissione dei suoi valori ai più giovani. «La nostra storia - scrive con Anna Vinci nel libro «Storia di una passione politica», 2006 – ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente concimati, attraverso la responsabilità di tutto un popolo. Dovremmo riflettere sul fatto che la democrazia non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. E’ giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. E’ tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. E’ pace». In fondo, le siamo un po’ tutti debitori.