"The Journey", l'odio è un'emozione. Che uccide

VENEZIA. Il maggior numero di vittime del terrorismo in Europa si è avuto durante i “Troubles”, cioè la guerra civile in Irlanda del Nord. Ben 3.532 morti e 47.511 feriti sono stati il bilancio di un conflitto duranto 40 anni fino a quando il premier inglese Tony Blair ha riunito nell’hotel del campo di golf di St. Andrew, in Scozia, i rappresentanti dell’Ira e degli Unionisti, le due parti in conflitto.
Nick Hamm, il regista, prende spunto dal protocollo che prevedeva che in caso di viaggi ufficiali i leader di entrambi gli schieramenti viaggiassero insieme per evitare attentati, per costruire “The Journey”, il viaggio immaginario che il capo unionista, il reverendo Ian Pasley, e il presunto responsabile dello stato maggiore dell’Ira, Martin McGuinness, fanno per riportare Pasley a Belfast per partecipare alla festa per i suoi 50 anni di matrimonio. Un lavoro riuscito, che accanto alla tensione storica mette in campo le interpretazioni eccezionali di Timothy Spall (Pasley) e Colm Meaney (McGuinness), messi uno di fronte all’altro in un’auto che viaggia verso l’aeroporto.
Una prova coinvolgente, sorretta da una sceneggiatura molto british e da una regia di grande mestiere e capace di intravedere un risultato di ampio respiro. Il tutto condito da un humour non pesante e non finalizzato che stempera bene i momenti di maggiore intensità. Un film da vedere, applaudito in sala dalla stampa e dai distributori, che narra la capacità di superare l’odio, odio violento, se la speranza offre uno spiraglio. Una produzione inglese che si affida a un cast di spessore e mestiere. Un film senza effetti speciali, molto bello se vi piacciono le storie che valgono la pena di essere ascoltate.
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