Tesoro di Galatolo, no alla restituzione

Gioielli e orologi, secondo gli inquirenti, sono il frutto di rapine organizzate per ripianare i debiti di gioco del pregiudicato
Di Carlo Mion

Vito Galatolo, 41 anni, pregiudicato siciliano è considerato credibile come collaboratore di giustizia, mentre a Venezia i magistrati e i carabinieri del Ros ritengono sia un rapinatore che non la racconta giusta sulla sua permanenza come sorvegliato speciale nella nostra città e su alcune rapine che lui stesso avrebbe organizzato. Non solo. Gli inquirenti veneziani ritengono che il tesoro tra gioielli e orologi che gli hanno sequestrato quando hanno arrestato i suoi presunti complici e lui ha evitato il carcere perché già pentito, è frutto di rapine e per questo i giudici non glielo hanno restituito. Lo si può vedere sul sito del Comando generale dell’Arma dei carabinieri.

La Procura di Venezia contesta a Galatolo comportamenti che gli erano vietati quando da noi era in soggiorno obbligato, leggi frequentare sale gioco - luoghi dove bazzicavano pregiudicati - e incontrare pregiudicati. Lui ha sempre negato e quando gli è stato contestato di aver organizzato delle rapine con altri suoi amici lui si è sempre difeso sostenendo che in realtà certe telefonate - intercettate dai carabinieri - altro non erano che dei consigli dati a conoscenti e amici, In realtà gli investigatori del Ros lo hanno fotografato, più volte, mentre s’incontra, davanti all’ingresso della Fincantieri di Marghera con le persone poi arrestate per alcune rapine. Colpi che, stando agli investigatori del Ros, organizzava proprio lui.

Per i carabinieri giocava e perdeva molto nelle sale di scommesse. Il lavoro al Tronchetto nelle imprese di Otello Novello (con indagini tuttora in corso sui possibili interessi della mafia sul mercato del trasporto turistico), non gli bastava per saldare gli 80 mila euro di debiti di gioco. Erano 57 mila gli euro di debito che il boss aveva con l'Aladin Bet 2 di Mestre e altri 24 mila con la Match point. Soldi che Galatolo intendeva procurarsi a suon di rapine. Due colpi la cui preparazione è stata, però, seguita passo passo dai carabinieri del Ros di Padova - coordinati dalla Direzione antimafia di Venezia - e che hanno portato a 5 provvedimenti cautelari: tre in carcere, uno ai domiciliari e un obbligo di firma. Su Galatolo gli investigatori avevano acceso i riflettori sin dal suo arrivo a Mestre - il padre Vincenzo è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio del generale Dalla Chiesa - quando ancora non si sapeva (come avrebbero poi rivelato le indagini) che fosse uno dei componenti della Cupola, capo mandamento dell'Acquasanta di Palermo. Arrestato un anno fa, oggi è collaboratore di giustizia a Palermo. Il suo pentimento gli ha evitato il carcere per i fatti veneziani. Ma a Venezia non gli credono. Anche perché c’è un’indagine su chi ha finanziato nella nostra città.

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