«Terrorista islamico a Venezia? Ha un’osteria a San Marco»
VENEZIA Uno dei tre tunisini perquisiti dalla Digos veneziana perché sospettati di essere simpatizzanti dell’Isis, il 40enne Chaabane Mabrouk, ha presentato ricorso al Tribunale del riesame e i giudici veneziani hanno già fissato l’udienza per il 18 maggio. Il suo difensore, l’avvocato veneziano Renato Alberini, vuole capire quali carte hanno in mano gli investigatori: «Non è certamente un terrorista», afferma il legale, «ha un attività commerciale ben avviata, è inserito da anni in città e convive con una veneziana».
Mabrouk è titolare dell’Osteria Galileo nel centralissimo campo Sant’Angelo, nel sestiere di San Marco, dove del resto anche abita. Gestisce il locale assieme alla sua donna, veneziana. Invece, il 29enne Aehiet M’Barek abita alla Celestia, a Castello, mentre Karim Ben Khalifa (24 anni) risiede a Murano, lavora come cameriere nel locale dell’amico tunisino ed è sposato con una veneziana. Apparentemente sembrano tutti ben inseriti e naturalmente possiedono da anni visti di soggiorno del tutto regolari.
Ma a far scattare le attenzioni degli investigatori, che cercano di prevenire attentati e almeno fino ad ora ci sono riusciti, a differenza che in altri paesi europei, sono stati incontri e discorsi ascoltati al Bar Cartagine di via Brenta Vecchia a Mestre, ai quali ha partecipato anche uno dei tre perquisiti. Inoltre, i messaggi che si sono scambiati e poi le telefonate, in cui raccontavano di essersi convertiti al vero Islam, quello radicale. E poi c’è il fratello di Mabrouk, un iman che due anni fa è partito per la Siria per combattere contro le truppe di Bashar Assad, presumibilmente nelle milizie dello Stato islamico, e là sarebbe morto.
Dubbi, sospetti, che ancora non sono divenuti indizi, tanto che gli uomini della Digos veneziana hanno chiesto e ottenuto i provvedimenti per le perquisizioni: nelle case hanno sequestrato computer, ipad, cellulari e documenti scritti in lingua araba per i quali sarà necessario attendere la traduzione. Sono indagati per un reato grave, il 270 bis del codice penale che recita: «Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni».
E ancora: «Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione o un organismo internazionale». Prove concrete per ora non sono state raccolte e l’avvocato Alberini già mercoledì cercherà di capire se sono contestate solo chiacchiere o esistono indizi per affermare che almeno uno di loro stava cercando di raggiungere le file dell’Isis.
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