«Terrorismo, il pericolo resta alto»
Il procuratore aggiunto Adelchi d’Ippolito: a Rialto un successo investigativo importante, ma non abbassiamo la guardia
«Come per i reati riconducibili al fenomeno della criminalità organizzata anche per quanto riguarda il terrorismo l’aver sventato un tentativo è sempre e comunque un risultato “parziale”. Sarebbe drammaticamente miope pensare di aver debellato il fenomeno solo perché si è riusciti a colpirne una singola manifestazione». Il procuratore aggiunto di Venezia Adelchi d’Ippolito invita a non abbassare la guardia ad alcuni mesi dallo smantellamento della cellula jihadista kosovara che voleva compiere un attentato sul ponte di Rialto.
Scampato pericolo. ma la guerra al terrorismo è lunga?
«Anche all’indomani di un risultato investigativo o repressivo di rilievo la guardia va tenuta alta, anzi, vorrei dire più alta di prima: il sollievo – e la soddisfazione – che certamente magistratura, forze dell’ordine e comunità civile possono condividere non devono portare a sottovalutare, ciascuno per l’ambito che gli compete, il fatto che permane il rischio concreto di altri attentati, della nascita di nuove cellule, della radicalizzazione di altri soggetti che pur vivendo nel nostro territorio finiscono per sposare la causa perversa e violenta dello stato islamico».
Un lavoro complesso senza sosta e che impone l’approfondimento di ogni piccolo elemento raccolto?
«La lotta al terrorismo non si improvvisa, né si può gestire con interventi a intermittenza, confinati al prevenire e perseguire la singola manifestazione criminosa che è sempre spia di un fenomeno più vasto. Richiede un impegno ininterrotto e soprattutto coordinato tra investigatori, inquirenti e gli altri organi istituzionali (prefetture) che collaborino e scambino, tra di loro e con le realtà istituzionali centrali (Pna) le informazioni di cui dispongono in un piano unitario di prevenzione e repressione».
Un metodo investigativo che premia?
«I risultati che si sono ottenuti a Venezia sono emblematici, sono il frutto di un’attività investigativa prolungata, paziente e costante. Un metodo di lavoro che si è rivelato efficace reso possibile grazie a una fitta rete di rapporti investigativi che la Procura Distrettuale ha saputo intrattenere e intrattiene, oserei dire quasi quotidianamente, con tutti i comandi periferici delle forze dell’ordine. In tal modo, attraverso questo continuo scambio di informazioni, è possibile registrare anche i segnali più impercettibili di allarme, tutte le anomalie o le situazioni sospette che possono così essere valutate in tempo reale dalla Procura Distrettuale».
Quali piste battere per individuare i terroristi che vivono tra noi?
«Una particolare attenzione viene rivolta alla intercettazione dei flussi di denaro sospetti. Non dimentichiamo che il terrorismo necessita di essere finanziato. Seguire il filo rosso del denaro consente d’intercettare chi questo denaro mette a disposizione o chi se ne deve servire per attuare i vari piani criminali. Un altro importantissimo bacino di informazioni è senza dubbio il web. È un fatto ormai notorio come l’arruolamento dei combattenti dell’Is sia in pratica l’ultimo tassello di un processo di radicalizzazione che ha come principale cinghia di trasmissione proprio la rete».
Combattere il terrorismo è una battaglia difficile che deve impegnare tutti?
«È una battaglia che, come altre combattute nel nostro paese, si può vincere. Nessuno pensi però che il contrasto al terrorismo soprattutto a questo terrorismo sia questione che riguarda solo la magistratura e la polizia giudiziaria. La fiducia che inquirenti e forze dell’ordine hanno direi meritatamente saputo guadagnare da parte dell’opinione pubblica deve trasformarsi in collaborazione attiva di ogni componente della società civile, nel cogliere e segnalare situazioni sospette e nel sollecitare interventi tempestivi».
Carlo Mion
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