Tassa di soggiorno. L'assurda guerra tra Airbnb e Comune

VENEZIA. Termini di servizio aggiornati dal 21 gennaio e operativi dal 27 marzo per gli utenti di Airbnb, il grande portale di locazioni turistiche. Commissioni al 3 per cento per chi affitta casa, e al 20% per chi propone esperienze per turisti.
Sul fronte della imposta di soggiorno, capitolo in continuo aggiornamento da mesi, si legge che l’utente «riconosce che qualsiasi agenzia governativa, dipartimento e/o autorità competente nel luogo in cui è situato l’alloggio dell’utente può esigere che le imposte siano raccolte dagli ospiti o dagli host sui prezzi dell’annuncio e versate all’Autorità fiscale competente».
Quindi, l’imposta di soggiorno è a carico dei viaggiatori che pernottano nelle città mentre la riscossione e il versamento spettano all’host ovvero al titolare della struttura. Venezia resta senza una intesa tra Comune di Venezia e Airbnb per applicare, come accade già a Milano o a Firenze, un sistema automatizzato di versamento da parte del Portale della imposta di soggiorno. Tema irrisolto che pesa oggi che si discute della prossima applicazione della tassa di sbarco.

Da Airbnb spiegano di «essere aperti al confronto» ma anche di confidare in un dialogo con il ministro del Turismo Centinaio visto che il governo prevede «la creazione di un ambito di contrattazione con i Comuni per una ridefinizione organica della regolamentazione applicativa della tassa di soggiorno, come effettiva tassa di scopo a sostegno del turismo locale e nazionale». Una revisione a livello nazionale potrebbe risolvere nodi irrisolti come il mancato accordo a Venezia, avvisano da Airbnb. Mauro Turcatti, public affairs, spiega che il Portale di affitti turistici nel mondo ha stipulato accordi con oltre 400 pubbliche amministrazioni per la riscossione e il versamento delle tasse tramite la piattaforma (ad oggi oltre 1 miliardo di dollari). In Italia ha stipulato accordi con una ventina di città e riversa qualcosa come 20 milioni di euro di imposta di soggiorno.
Stimare un effetto su Venezia è difficile ma si parla almeno di un paio di milioni di euro l’anno. In centro storico ci sono 6.000 alloggi registrati su Airbnb, in terraferma il fenomeno è letteralmente esploso negli anni.
Airbnb chiede a Venezia di applicare una tariffa o una percentuale unica. Come è stato fatto con Milano (3 euro a persona a notte), Firenze (3 euro), Torino (2,3€), Napoli (2€), Palermo (1,5 euro), Lucca (1,5€ p/n), Genova (1,5 euro), Bologna (5% del valore della prenotazione), Bergamo (5%), Olbia (5%), Rimini (3%). Intese che automatizzano «la riscossione digitale all’atto della prenotazione, azzerando completamente l’evasione dell’imposta».
La giunta veneziana dal primo gennaio 2018 impone alle locazioni turistiche una imposta su tre livelli (2,3 o 5 euro) a seconda della rendita catastale e con differenziazioni stagionali e territoriali. Senza un accordo, l’obbligo di versamento pesa solo su chi sceglie di affittare.
E molti oggi pagano, temendo i controlli e le denunce penali per peculato. «La nostra porta resta aperta ma gli accordi si fanno in due», dice l’assessore al bilancio Michele Zuin, «e noi non possiamo abdicare al potere di legiferare su questo tema tenendo conto della stagionalità turistica e mantenendo i vecchi accordi siglati con gli albergatori da precedenti amministrazioni». —
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