Tangenti Mose, la difesa: «Galan è malato non può andare in carcere»
VENEZIA. A quasi sei settimane dal terremoto dell’inchiesta Mose, si avvicina il carcere per Giancarlo Galan: dopo il “sì” all’arresto espresso dalla giunta della Camera, martedì l’aula esprimerà il suo voto che - sulla carta - è ampiamente positivo. Così la carta che gli avvocati Franchini e Ghedini si apprestano a giocare in extremis è quella dello stato di salute di Galan, che sarebbe incompatibile con il carcere, a causa di una tromboflebite, che lo costringerebbe a letto con il piede alzato. L’istanza urgente dovrebbe essere depositata domani: dovrà esprimersi il giudice per le indagini preliminari Alberto Scaramuzza, su parere della Procura, quantomeno per concedere i domiciliari.
Se il Parlamento dirà “sì” all’arresto e il giudice “no” all’istanza, non ci sarà che il Riesame al quale appellarsi dopo la carcerazione. Ma le recenti ordinanze del Tribunale della Libertà sulle posizioni di uomini vicinissimi a Giancarlo Galan, come l’ex assessore Renato Chisso (accusato di aver preso soldi per sé e per l’ex presidente della Regione) e il commercialista Paolo Venuti (accusato di essere il prestanome di Galan) sono un “Bignami” non solo delle accuse mosse dalla Procura, ma - di fatto - anche una valutazione di merito sulla posizione dello stesso Galan, anche anticipando la possibile prescrizione di alcuni dei capi d’accusa. Fanno premio le testimonianze di Giovanni Mazzacurati (Consorzio Venezia Nuova), Piergiorgio Baita (Mantovani), dell’ex segretaria e imprenditrice Claudia Minutillo sulle tangenti pagate a Galan e le intercettazioni. «All’epoca Galan era il Governatore del Veneto e Chisso era comunque a lui subordinato», si legge così nell’ordinanza che conferma il carcere per Chisso. Oggetto le due tangenti da 900 mila euro che Baita racconta siano state pagate a Galan tramite l’ex assessore, per agevolare il “sì” della Commissione Via a favore delle dighe di sasso e quello della Salvaguardia al progetto definitivo del Mose. «Quelle delibere erano di particolare rilevanza e quindi il governatore le voleva gestire in prima persona», proseguono i giudici, «il destinatario finale dei 900 mila euro relativi alla delibera Mose è sicuramente Galan (...) Baita su richiesta del presidente del Consorzio versa “in cassa” 600 euro (e ci penserà Mazzacurati, allertato da Chisso, a farli pervenire a Galan); gli altri 300 verranno dati dalla Minutillo personalmente a Chisso (ed è inteso che questi li consegnerà a Galan, come richiesto dall’interessato).
Nessuna confusione, solo una procedura macchinosa visti gli intermediari implicati». Per i giudici non c’è dubbio alcuno, anche se una via d’uscita - per questa specifica accusa - è la prescrizione, ma il carcere resta: «Poiché le delibere risalgono agli anni 2004 e 2005 (...) i reati relativi sono divenuti improcedibili a seguito di prescrizione (dal giugno 2008) ma questo nulla toglie che in sede cautelare siano presi in considerazione per valutare il grado di pericolosità degli indagati». Poi c’è l’ordinanza che conferma il carcere per il commercialista Paolo Venuti, chiamato in causa insieme alla moglie come «amico, commercialista e prestanome» di Galan: dall’intestazione del 7% delle quote di Adria Infrastrutture «per poter partecipare agli utili derivati dall’approvazione dei progject financing» ai lavori di ristrutturazione della villa di Cinto Euganeo per 1,1 milioni a spese di Mantovani: «I coniugi Venuti-Farina sono, per loro stessa ammissione, “i prestanome” del Galan», scrive il Riesame, «e altresì hanno ricevuto precise disposizioni da quest’ultimo sulla destinazione da dare alle liquidità occultate all’estero». Come i 1,8 milioni su un conto in Croazia: da dare alla figlia Margherita, nascondendoli alla moglie Sandra.
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