Tagli e minacce di chiusura Alcoa, domani scatta lo sciopero

Dopo settimane di inutili trattative i sindacati e la Rsu hanno indetto le prime due ore di protesta «Se la direzione aziendale vuole riportare in pareggio il bilancio deve investire in efficienza e qualità»
Di Gianni Favarato

FUSINA. I lavoratori dell’Alcoa domani sono di nuovo in sciopero (2 ore di fermata per turno) per difendere busta paga e posto di lavoro. In gioco non c’è solo l’azzeramento del contratto aziendale e delle previste indennità, a cominciare da quella di turno, con una decurtazione della busta paga mensile che può arrivare fini a 500 euro, in conseguenza della disdetta del contratto integrativo di secondo livello, sottoscritta e successivamente congelata dall’azienda che ora sembra decisa a riproporre.

A terrorizzare i circa 300 dipendenti di Alcoa è la minaccia, ribadita dai vertici della multinazionale americana, che se alla fine di quest’anno lo stabilimento veneziano non riporterà il bilancio in pareggio, si andrà alla chiusura definitiva del Laminatoio e al trasferimento delle sue produzioni in altra sede. «Se accettassimo l’inaccettabile taglio delle nostre già modeste buste paga», spiegano i delegati sindacali della Rsu, «l’azienda risparmierebbe al massimo un milione l’anno, poca cosa rispetto al deficit di 8 milioni con cui è stato chiuso il bilancio 2013 dell’Alcoa a Fusina».

Il timore, del tutto fondato, dei lavoratori è che lo stato maggiore della multinazionale statunitense abbia già deciso di delocalizzare anche l’ultimo stabilimento rimasto in Italia. «Abbiamo cercato in tutti i modi di tenere in piedi la trattativa ed evitare lo sciopero», spiega Diego Panisson, segretario generale della Uilm veneziana, «ma la direzione di questo stabilimento non ha mai accettato di trattare anche sulle vere misure di contenimento dei costi che si otterrebbero migliorando l’organizzazione del lavoro e l’efficienza interna e garantendo investimenti per produzioni di laminati di alta qualità e più remunerativi. Di questi argomenti e di piani industriali non ne vogliono parlare, quel che preme loro è tagliare le già striminzite buste paga degli operai sventolando il ricatto di una possibile chiusura degli impianti che sembra già essere stata decisa negli Usa».

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