Superjet International verso la chiusura, l’ultimatum dell’Ad Camillo Perfido
Camillo Perfido, AD di Superjet International, annuncia un possibile ricorso alla liquidazione entro fine gennaio se non arriveranno risposte dal Comitato di sicurezza finanziaria (Csf)
«In questi due anni abbiamo trovato un investitore, finalizzato i contratti, pagato i dipendenti, pagato i fornitori. Adesso basta, la festa è finita: ognuno si prenda le proprie responsabilità. O sì o no. Se dopo le feste, diciamo entro la fine di gennaio, non arriverà una risposta dal Comitato di sicurezza finanziaria (Csf) proporrò al board di Superjet di portare i libri della società in tribunale».
Non le pare un ultimatum molto simile a quello lanciato dal Demanio lo scorso ottobre?
«Le assicuro che, se non arrivano risposte, questa volta non vedo alternative. Anche perché gli investitori stanno perdendo la pazienza».
Camillo Perfido, amministratore delegato di Superjet international, ha perso la pazienza. E ha deciso di parlare con l’obiettivo di salvare l’azienda aeronautica di Tessera da 120 dipendenti nata nel 2007 da una joint venture italo-russa per la produzioni di arei civili a medio raggio con cento posti (Superjet 100) le cui attività sono congelate dal maggio del 2022 come conseguenza delle sanzioni di Bruxelles per l’invasione russa dell’Ucraina.
Da quel giorno il 90% delle quote (riferibili ai russi) sono gestite dall’Agenzia del Demanio, che ha espresso anche il nuovo presidente di Superjet (Vincenzo Capobianco) mentre il 10% resta di Leonardo.
Il piano di rilancio elaborato in questi due anni è fermo in attesa che il Comitato di sicurezza finanziaria (Csf) - competente per il congelamento di fondi - incardinato al Mef, si esprima sulla legittimità del Piano. Ieri i vertici di Superjet, nella sede di Confindustria, hanno incontrato i lavoratori ripercorrendo il percorso di questi due anni e manifestando la loro preoccupazione per il futuro.
Perfido, il futuro di Superjet è in una situazione di stallo. Come si è arrivati a questo punto?
«Dopo le sanzioni e la nomina del nuovo Cda ci siamo mossi per trovare un investitore e, lavorando d’intesa con il Demanio e Leonardo, già a novembre del 2022 il fondo emiratino Markab Capital ha presentato una manifestazione d’interesse, un investimento pari a 470 milioni di euro. A novembre 2023 erano già pronti tutti i contratti per il trasferimento delle azioni da Uac (United Aircraft Corporation, ndr) a Markab Capital. Il piano faceva riferimento a un regolamento dell’Unione Europea in base al quale se c’è un interesse pubblico lo Stato membro può sostanzialmente espropriare il bene sotto custodia e venderlo. E congelare i soldi incassati dalla vendita in attesa di renderli alla società proprietaria, una volta venute meno le sanzioni».
Avete presentato il vostro piano al Csf?
«A marzo del 2023 il Demanio ha depositato al Csf il piano e i contratti per il passaggio delle azioni. La risposta è arrivata solo 7 mesi dopo, il 30 ottobre, e solo grazie a una lettera ultimatum del Demanio nelle quale si diceva che, in assenza di risposte entro il 31 ottobre, avrebbe portato i libri in tribunale».
Quindi quella lettera è servita?
«Certo che è servita».
Però il Comitato ha bocciato il Piano.
«Hanno detto che non si poteva utilizzare quella norma».
Il punto è che c’era il timore che alle spalle di MarkAb Capital ci fossero, ancora, i russi.
«Tutte fesserie. Abbiamo chiesto a Kpmg e a un pool di legali un’indagine societaria approfondita che ha riguardato il fondo emiratino, tutte le società collegate e tutte le persone indicate nelle società: non sono stati trovati russi nascosti sotto i tavoli».
Dopo la prima bocciatura, con il Demanio, avete elaborato una strategia diversa. Non più la vendita delle azioni ma il trasferimento dei beni con la creazione di una newCo.
«La legge prevede che il Demanio possa vendere i beni quando c’è il depauperamento dei beni. La proposta è stata prospettata al Mef, sembrava che avessimo imboccato la strada giusta. E quindi l’abbiamo presentata ufficialmente, il 2 dicembre.
Il progetto è riuscito a convincere il Csf?
«Il 9 dicembre ha chiesto ulteriori “elementi fattuali” sul depauperamento dei beni. Abbiamo quattro aerei fermi che non possono essere venduti. Abbiamo portato a bilancio una svalutazione degli asset per 130 milioni di euro. Oggi il valore complessivo è di 200 milioni. Abbiamo preparato una relazione di cinque pagine e l’abbiamo mandata il 9 dicembre. Ora siamo in attesa che il Comitato si riunisca. Ma di più non possiamo fare. E se entro fine gennaio non arriva l’autorizzazione a procedere sono io che procederò e chiederò al board di mettere in liquidazione l’azienda. Ovviamente speriamo che arrivi una risposta positiva. L’ho detto nella riunione a Confindustria e nell’incontro di Natale con tutti i lavoratori. La nostra responsabilità era di salvare l’azienda e abbiamo fatto tutto il possibile, se il governo intende percorrere altri obiettivi, a me non chiari, se ne assumerà la responsabilità».
A oltre due anni dalla loro proposta di acquisto, gli emiratini non si sono ancora spazientiti?
«Tra i loro obiettivi c’è la diversificazione degli investimenti e sono molto interessati ai prodotti di alta tecnologia. Ma sto faticando a tenerli buoni perché si chiedono come sia possibile non avere ancora risposte».
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