Strozzato dagli interessi, usurai arrestati
Con l’azienda in crisi si era messo nelle loro mani, convinto che, un po’ alla volta, ce l’avrebbe fatta. E invece un imprenditore veneziano, attivo nei servizi alle imprese, si è trovato nel tunnel dell’usura - con tassi del 30% su un prestito di 500 mila euro - dal quale è uscito solo trovando il coraggio di denunciare tutto, lo scorso ottobre, alla guardia di finanza di Venezia. Ieri mattina, i militari del Nucleo di polizia tributaria di Venezia, su ordinanza del gip di Vicenza, hanno posto agli arresti domiciliari, per il reato di usura Lea Caminiti, 47 anni, originaria di Messina ma residente a Loria (Treviso), ritenuta l’usuraia, e Raffaello Gnoato, consulente finanziario di 66 anni, residente a Bassano del Grappa, che si spacciava per commercialista ed era già finito nei guai in passato per truffa. Nell’inchiesta ci sono altri cinque indagati, tra i quali tre avvocati veneziani, ritenuti responsabili di favoreggiamento reale.
Sono due civilisti, Andrea Campi e Patrizia Tagliapietra, i cui studi di Mestre ieri sono stati perquisiti dai finanzieri alla presenza del pubblico ministero - come prevede la legge - e un avvocato penalista, Francesca Scarpa. Stando alle indagini i tre si sarebbero adoperato per cercare di recuperare, dall’imprenditore veneziano, le somme che doveva agli usurai.
L’indagine inizia quindi nell’ottobre del 2016 quando l’imprenditore - prima attivo nelle pulizie, poi nei servizi alle imprese - dopo essersi confidato con gli operatori dell’associazione anti-racket, e da loro consigliato, si è presentato alla finanza per denunciare la sua situazione. Un tunnel nel quale era già finito molti anni fa - avendo poi accesso al fondo anti-usura - e però la disperazione lo aveva portato a cascarci di nuovo. Ai finanzieri l’imprenditore ha raccontato che, a fronte di difficoltà finanziarie, con alcuni beni già pignorati da Equitalia, nel 2012 aveva chiesto aiuto al suo commercialista per sapere come fare. E racconta di come sia stato lo stesso Gnoato a metterlo nelle mani di persone “di fiducia” ovvero Lea Caminiti e il marito - poi deceduto per malattia a 82 anni lo scorso novembre. Le persone “di fiducia” sono invece - stando alle indagini - due usurai di professione, che lavorano soprattutto tra Venezia, Padova e Verona. L’imprenditore veneziano dal 2012 al 2015 ha ricevuto dalla coppia di usurai circa 500 mila euro in varie tranche e, a ottobre scorso, ne aveva già restituiti 780 mila anche se molti ancora ne doveva consegnare, a un tasso medio annuo del 30%.
Per mascherare le restituzione delle somme marito e moglie facevano ricorso a false fatture emesse da due società edilizie di Vicenza, fatture emesse nei confronti dell'usurato, e che servivano solo a mascherare la restituzione del prestito usuraio con gli interessi. I guai sono cominciati quando l’imprenditore è entrato in affanno, e non riusciva più a restituire la somma. Sono così iniziate le minacce a lui e alla sua famiglia, formulate dalla Caminiti e da un “gorilla” campano assunto proprio per spaventarlo. «Guarda che faccio venire quelli da giù», diceva all’imprenditore, lasciando intendere rapporti con la criminalità organizzata. Per continuare a spremerlo, la donna aveva anche cercato di entrare in possesso della quote dell’impresa, che l’imprenditore avrebbe dovuto cedere alla fidanzata 27enne del figlio, pure lei indagata. Un passaggio che però è stato impedito dall’intervento della Finanza. Un’indagine ancora aperta anche perché la convinzione dei finanzieri della Tributaria del colonnello Gianluca Campana è che, nel Veneto, ci siano altre vittime della coppia. «E’ un fatto raro ma positivo che la vittima di usura si presenti per denunciare l’accaduto», spiega Campana, «perché il legame tra usuraio e usurato non è facile da spezzare, anche se sono solo venditori di false speranze».
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