Strage di Brescia, Maggi imputato Il suo avvocato: «È incapace»
Martedì 26 maggio dovrebbe iniziare il 41esimo processo per la strage di piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974, otto morti e cento feriti) e sul banco degli imputati ci dovrebbero essere due imputati, il medico veneziano Carlo Maria Maggi, allora a capo di Ordine Nuovo nel Triveneto, e il padovano Maurizio Tramonte, anche lui allora militante dell’estrema ma soprattutto informatore del servizio segreto militare, il Sid. Maggi, però, non ci sarà: il suo difensore, l’avvocato Mauro Ronco, dopo aver presentato alla Corte d’assise d’appello di Milano (a Brescia tutte le Corti disponibili si sono già pronunciate e così tocca al capoluogo milanese, visto che il processo torna dalla Cassazione) un certificato medico sostiene che il medico della Giudecca «non è in grado di partecipare al giudizio per l’assoluta incapacità di capire che cosa gli accade intorno». Maggi è entrato nel suo 81esimo anno e probabilmente i giudici milanesi disporranno una perizia medica, rinviando l’udienza di martedì.
La Corte d’appello di Brescia aveva assolto Maggi e Tramonte assieme al mestrino Delfo Zorzi per la strage. La Corte di Cassazione, poi, ha confermato l’assoluzione per il primo, scrivendo inoltre che «a carico di Maggi vi sono moltissimi indizi che paiono essere convergenti verso un suo ruolo determinante nell’organizzazione della strage». A convincere i giudici romani sarebbe stata soprattutto una circostanza che è già costata una condanna all'ex responsabile lagunare di Ordine nuovo e che sarebbe strettamente legata alla storia dei neofascisti a Venezia.
Si legge nelle motivazioni della sentenza, la stessa che ha mandato definitivamente assolto il mestrino emigrato in Giappone Delfo Zorzi, che l'ordigno che esplodendo durante una pacifica manifestazione sindacale nella piazza centrale di Brescia uccise otto persone «sia stati confezionato utilizzando la gelignite di proprietà di Maggi e di Digilio conservata presso lo "Scalinetto"». Si tratta di una trattoria tra il campo della Bragora e la Riva degli Schiavoni, non lontano da piazza San Marco, che allora era gestita da una donna che permetteva ai militanti di Ordine nuovo guidati da Maggi non solo di ritrovarsi quasi tutte le sere, di organizzare riunioni, quando la normale clientela se n'era andata a casa, ma anche di nascondere armi ed esplosivo. Sia Maggi sia la titolare sono finiti sotto processo per questo 30 anni fa (l'indagine era dell'allora giudice Felice Casson) e a raccontare i particolari era stato Carlo Digilio, ampiamente citato nella sentenza e le cui dichiarazioni, secondo i giudici della Cassazione, non sarebbero stati valorizzati come dovevano.
Digilio, nel frattempo deceduto, per sua stessa ammissione è stato l'armiere e l'esplosivista di Ordine nuovo grazie alla sua esperienza militare. Ha confessato di aver preparato sia l'ordigno per Piazza della Loggia sia la ventiquattrore lasciata e poi esplosa nella sede della Banca dell'Agricoltura a Milano il 12 dicembre 1969. Lo "Scalinetto", quindi era covo e santabarbara nei neofascisti veneziani e non solo di quelli, visto che quando arrivavano in laguna padovani e trevigiani là andavano a finire. Era già noto il ruolo della trattoria di Castello, grazie alle indagini condotte dagli inquirenti veneziani, quelli della Digos, negli anni Ottanta.
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