Stesso nome, stessa sorte per zio e nipote. 50 anni dopo

Alfredo Chiereghin aveva ricevuto il nome dello zio, morto mezzo secolo fa per un cavo. Il destino lo ha atteso al varco

CHIOGGIA. Stessa famiglia, stesso nome, stesso lavoro, stessa tragica fine. È stato un destino beffardo quello che, a oltre cinquant'anni di distanza, ha accomunato la sorte di Alfredo Chiereghin (zio) e di Alfredo Chiereghin (nipote). Entrambi morti in mare a causa di un cavo che, da strumento di lavoro, è diventato una trappola fatale.

Del nipote si sono occupate le cronache di questi giorni. Era imbarcato, giovedì scorso, su un pontone della Nuova Coedmar, nel porto di Taranto. Un pilone ha ceduto, un cavo si è messo in tensione, "spazzando" il ponte di coperta e Alfredo è stato trascinato e schiacciato contro il parapetto della chiatta. Così la prima ricostruzione, anche se gli accertamenti sono ancora in corso.

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Dello zio, invece, racconta Gianluca Chiereghin, cugino di Alfredo nipote e pure lui nipote del "primo" Alfredo. «Nostro zio faceva il pescatore, come i nostri padri», dice, «durante una battuta di pesca in mare, una carrucola, su cui poggiava un cavo per riavvolgere le reti, per l'improvvisa tensione del cavo si staccò e gli cadde in testa, facendolo finire in mare, dove annegò». Anche quello fu un incidente sul lavoro e, anche allora, c'entrava un cavo.

Né Gianluca né Alfredo hanno mai conosciuto quel loro zio, ma Albino, papà di Alfredo, anni dopo, volle ricordare il fratello scomparso, dando il suo nome al figlio. Una scelta che, adesso, potrebbe apparire inopportuna, visto il destino di entrambi, ma che, nelle intenzioni voleva essere un omaggio e un segno di continuità per l'intera famiglia, così legata alle tradizioni della città e del mare.

«Eravamo tutti pescatori», ricorda Gianluca, «poi, quando c'è stato il boom delle vongole, ci siamo dedicati a questo tipo di lavoro, che sembrava più sicuro e promettente, anche economicamente. Poi c'è stata la grande crisi, con la frammentazione dei consorzi, il Gral, le grandi morie di molluschi, e tutto il resto. Abbiamo venduto i barchini e ci siamo messi a cercare un altro lavoro. Alfredo lo aveva trovato alla Coedmar e ci aveva messo il cuore. Preciso, puntuale, efficiente. Tutti, dai colleghi ai superiori, lo stimavano e lo apprezzavano, anche perché era sempre pronto a dare una mano. Per lui la famiglia, moglie e due figlie, e il suo lavoro, erano tutta la sua vita».

L'inchiesta continua, e presto alcuni parenti di Alfredo scenderanno a Taranto, anche per la triste formalità del riconoscimento.

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