Stalking alla preside, padre a processo

MIRANO. Il padre di Leonardo Pasqualetto, giovane professore del liceo Majorana-Corner di Mirano che cinque anni fa si era suicidato, è finito sul banco degli imputati per atti persecutori e diffamazione della preside di quell’istituto, la professoressa Claudia Berto, che ieri si è costituita parte civile nel processo davanti al giudice di Venezia Sara Natto con l’avvocato Franca Tonello. Il mestrino Pierluigi Pasqualetto, 68 anni, deve rispondere anche di lesioni nei confronti dei carabinieri che il 13 marzo di due anni fa avevano cercato di bloccarlo mentre distribuiva volantini al vetriolo nella centralissima piazza del paese, riuscendo dopo alcuni tentativi a trascinarlo in caserma. Poche battute, ieri mattina, prima che il magistrato rinviasse il processo al 20 febbraio 2017.
I militari dell’Arma di Mirano, quel giorno, erano intervenuti perché, stando a loro, i volantini che l’imputato stava distribuendo sarebbero stati diffamatori. C’era scritto che la preside dell’istituto era in pieno accordo con l’ispettore inviato nella scuola dall’Ufficio scolastico regionale «per nascondere l’orrore che ha messo in atto nei confronti del professor Leonardo Pasqualetto». Per il padre, Leonardo sarebbe stato «spinto al suicidio» dalla preside. La protesta nella piazza centrale di Mirano di quel giorno non era stata l’unica e nemmeno l’ultima, tanto che, oltre a contestare la diffamazione che sarebbe stata compiuta con le frasi riportate nei volantini, l’imputato deve rispondere anche del reato di stalking, poiché avrebbe nel corso degli anni intrapreso più volte azioni simili, attaccando duramente la preside del liceo miranese. Il 13 marzo 2014, inoltre, si sarebbe ribellato ai carabinieri che gli stavano sequestrando i volantini e che lo volevano portare in caserma e durante la collutazione avrebbe anche ferito un militare dell’Arma.
L’uomo per più mesi si era presentato davanti alla scuola con una gigantografia con il volto del figlio Leonardo, professore di lettere dell’indirizzo classico-linguistico, morto suicida dopo essere stato allontanato dal lavoro in seguito all’ispezione perché aveva una relazione con una studentessa. Papà Pasqualetto conduceva da mesi una battaglia personale per chiedere giustizia per suo figlio: «Non è un criminale», ripeteva instancabilmente, «quello per la ragazza era amore vero, la relazione era lecita, la voleva presentare alla nonna».
Quel 10 novembre 2011, quando la storia con la studentessa venne a galla, Pasqualetto perse il lavoro e si impiccò con una corda alle scuderie di famiglia. «Mio figlio è a tutti gli affetti un morto sul lavoro», spiegava il padre agli studenti prima che entrassero in classe. «Voglio giustizia: giustizia è vedere riconosciuto quello che decine di studenti hanno testimoniato e cioè che mio figlio non aveva fatto nulla di male, quella ragazza era consenziente e soprattutto non veniva favorita, tanto che continua a frequentare la scuola con lo stesso profitto. Ho scritto anche al ministro, voglio che chi lo ha accusato ingiustamente venga punito».
«Farò una fondazione», spiegava sempre papà Pasqualetto, «che destinerà i soldi del risarcimento ai ragazzi che non possono di studiare».
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