Spaccio, Luciano Maritan resta in carcere

Il 20 novembre l’udienza preliminare per l’altro procedimento dov’è indagata anche la Zaccariotto

Luciano Maritan resta in carcere: ieri, infatti, il Tribunale del riesame di Venezia presieduto da Lucia Bartolini ha respinto la richiesta del suo difensore, che chiedeva gli arresti domiciliari. Maritan, nipote del boss della mala Silvano, era stato arrestato per traffico di cocaina e corruzione e proprio un mese fa era stato condannato a sei anni di reclusione e 24 mila euro di multa dal giudice dell’udienza preliminare con rito abbreviato. Era stato arrestato più di un anno fa, dopo le ammissioni di due suoi complici nel traffico di sostanza stupefacenti: acquistavano la droga a Milano, circa un chilo alla volta, e la portavano a San Donà, per poi spacciarla anche sul litorale jesolano. Già il giudice che lo aveva condannato un mese fa aveva respinto la richiesta dei domiciliari, che il difensore ha reiterato davanti al Riesame.

Maritan, però, deve affrontare un altro procedimento con una coindagata d’eccezione, l’ex sindaco e presidente della Provincia, la leghista Francesca Zaccariotto. Il prossimo 20 novembre saranno davanti al giudice veneziano Massimo Vicinanza per l’udienza preliminare, i pubblici ministeri Roberto Terzo e Walter Ignazitto hanno chiesto il loro rinvio a giudizio, assieme a quello di una dirigente del Comune di San Donà, di concorso in abuso d’ufficio e falso ideologico.

«Zaccariotto, in qualità di sindaco, previo accordo con Luciano Maritan istigava Eugenia Candosin, responsabile del personale del Comune di San Donà, ad avviare al lavoro Maritan, preferendolo ai 32 candidati che lo precedevano nella graduatoria e omettendo poi di renderla pubblica».

Questo il capo d'imputazione di abuso d'ufficio per il quale i due pm veneziani hanno chiesto il processo dei tre. Tra l’altro, i due rappresentanti della Procura avevano anche chiesto al magistrato un provvedimento di sospensione dal servizio per la funzionaria comunale, ma il giudice, dopo averla interrogata prima di prendere la decisione (come prevedono le norme), ha respinto la richiesta, spiegando che mancava almeno una delle tre condizioni per firmare il provvedimento, quella del pericolo di reiterazione del reato. Oltre all’accusa di abuso d’ufficio, i tre indagati in concorso devono rispondere anche di falsità ideologica perché «Eugenia Candosin attestava il falso avviando al lavoro LucianoMaritan su istigazione del sindaco Francesca Zaccariotto».

Giorgio Cecchetti

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