«Spacciavo per salvare l’impresa edile di papà»
Sandro Biasioli, 41 anni di Campagna Lupia, ha deciso di tacere e così davanti al giudice veneziano Barbara Lancieri si è avvalso della facoltà di non rispondere. Ha, invece, risposto alle domande del magistrato l’altro arrestato, l’imprenditore Nicola Venturini, 35 anni, anche lui di Campagna Lupia: in parte ha ammesso le cessioni di cocaina, ma ha cercato di giustificarsi, di spiegare perché l’ha fatto. Il primo è difeso dall’avvocato Danilo Taschin, il secondo dall’avvocato Paolo Boldrin e, dopo l’interrogatorio, sono rimasti entrambi nel carcere di Santa Maria Maggiore, anche se per Venturini sono stati chiesti gli arresti domiciliari.
Venturini avrebbe spiegato che la piccola impresa edile del padre sta attraversando, come tante in questo periodo, una fase di crisi e che c’era bisogno di denaro, una parte del quale gli sarebbe stato prestato da Biasioli. In cambio, lui si sarebbe prestato a spacciare la cocaina che l’amico gli aveva passato. Non ha ammesso, comunque, tutte le cessioni che gli investigatori della Guardia di Finanza gli hanno contestato. Nella rete tesa dalle Fiamme Gialle è finito una terza persona, il 29enne di Comacchio Alberto Piccoli, che è stato raggiunto da un provvedimento di obbligo di dimora perché avrebbe avuto un ruolo più marginale e sarà interrogato nei prossimi giorni.
Pur essendo il padre di Biasioli, Danilo, un ex appartenente alla banda di Felice Maniero, il figlio era incensurato e socio in una catena di pizzerie da asporto che ha rivendite in Riviera e nel Miranese. Gli uomini del Gico hanno arrestato lui e Venturini per traffico di sostanze stupefacenti. Per gli inquirenti i sospetti sono nati per il tenore di vita eccessivo di Biasioli rispetto a quello che poteva guadagnare; soprattutto non avrebbe potuto permettersi di pagare i diversi mutui aperti per acquistare immobili e auto di lusso. E quindi sono riusciti a ottenere dal giudice un sequestro di beni per un milione e duecentomila euro. Durante l'indagine i finanzieri hanno sequestrato mezzo chilo di cocaina e scoperto, sotterrato in un campo, una discreta quantità di esplosivo da cava.
Le indagini sono nate dall'arresto di un mirese che, dopo essere finito dietro le sbarre per droga ha deciso di collaborare con gli inquirenti, fornendo informazioni che hanno consentito di risalire ai tre. Stessa collaborazione con gli investigatori, anche da parte di altri quattro spacciatori che sono rimasti fuori grazie a quanto hanno raccontato. Ognuno dei tre arrestati aveva, secondo l’accusa, un ruolo definito: Biasioli reperiva lo stupefacente in quantità tali da riuscire addirittura a saturare una buona parte del mercato della provincia veneziana; Venturini (detto “Tamburo”) lo distribuiva, dopo aver tagliato e confezionato le dosi; mentre Piccoli, si occupava periodicamente della vendita al minuto.
Giorgio Cecchetti
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia