Sottrae alla sorella malata 140 mila euro, condannata

Mirano. Pena di tre anni e due mesi alla donna accusata del reato di peculato Era stata la terza congiunta a denunciarla e a costituirsi parte civile nel processo
Di Giorgio Cecchetti
CAIAFFA VENEZIA 08.01.2008.- SUPER PERIZIA UNABOMBER. TRIBUNALE DI VENEZIA. IL GIP STEFANO MANDUZIO.- INTERPRESS
CAIAFFA VENEZIA 08.01.2008.- SUPER PERIZIA UNABOMBER. TRIBUNALE DI VENEZIA. IL GIP STEFANO MANDUZIO.- INTERPRESS

MIRANO. Una guerra in famiglia, tra sorelle, ha portato una di loro a finire sul banco degli imputati e un’altra su quello della parte civile accanto alla terza, quella che sarebbe stata circuita.

Ieri, i giudici del Tribunale di Venezia presieduti da Stefano Manduzio hanno condannato la 65enne Raffaella Brugnoli di Mirano a tre anni e due mesi di reclusione per peculato, un’accusa pesante che suona da monito agli amministratori di sostegno, visto che non è scattata neppure la sospensione consizionale della pena. L’imputata, infatti, era stata nominata amministratrice di sostegno della sorella Paola, di due anni maggiore di lei e con problemi mentali e proprio per questo c’era la necessità di un parente che la seguisse per gestire il suo patrimonio. Così, l’imputata fin dal 2006 l’aveva affiancata e seguita, ma, secondo il capo d’imputazione, le avrebbe sottratto nel corso del 2010 poco più di 140 mila euro.

Stando al capo d’imputazione, i primi 50 mila euro sarebbero stati stornati non appena erano scaduti i Buoni ordinari del Tesoro sui quali erano stati investiti una parte dei soldi della donna. Altri 66 mila euro sarebbero stati prelevati, invece, dal conto in più occasioni e Raffaella Brugnoli si sarebbe presentata personalmente nell’agenzia della banca - si tratta della Friul Adria - per ritirarli. Infine, sarebbero spariti altri 24 mila euro in assegni, che sempre l’imputata avrebbe firmato. A denunciare gli ammanchi sarebbe stata la terza sorella, che ora ha sostituito l’imputata divenendo lei amministratrice di sostegno per Paola. A svolgere le indagini, piuttosto delicate, sono stati gli uomini della Guardia di finanza, coordinati dal pubblico ministero Roberto Terzo, che ieri ha poi chiesto la condanna dell’imputata. Il reato di peculato è punito dal codice penale con una pena pesante perché riguarda pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, come in questo caso era l’imputata nei confronti della sorella. Si tratta, infatti, di un incarico che deve essere un giudice ad affidare dopo aver controllato che non vi siano macchie sulla fedina penale. E per chi tradisce la fiducia la pena prevista va da un minimo di tre a un massimo di dieci anni di reclusione. Il Tribunale ha deciso anche che l’imputata dovrà versare una provvisionale di 55 mila euro alla sorella costituita parte civile.

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