«Sono stati i ragazzi a salvare mio nipote»
PORTOGRUARO. «Non capisco perché devono criminalizzare in questo modo i ragazzi. Non hanno fatto proprio nulla. Anzi. Se non ci fossero stati loro, quel giorno, all'interno del capannone, il mio nipotino sarebbe morto. Chiaro?». Sono sbucati dalla porta scendendo le scale, tutti assieme. Ormai gli incontri con i cronisti sono diventati quotidiani. I genitori del bambino tutti i giorni prendono l'auto e di buon mattino arrivano a Padova, al capezzale del piccino; poi tornano a casa, quando ormai è tardi. Gli altri parenti, invece, rimangono tutti qui, nella casa di campagna di Giussago. Un'abitazione che può essere definita una villa abitata da persone benestanti, più che di mezzadri. Si sa, cambiano i tempi. I sacrifici portano ricchezza.
E tra le frasche delle palme ieri mattina sono sbucati, interrompendo il pranzo, la zia, lo zio del bambino di 4 anni. Poi sono comparsi loro. Il cugino incriminato dalla procura dei minori di Trieste, di 16 anni, e la fidanzata di 15. Il loro sembra un rapporto serio. L'altro giorno, al telefono, l'adolescente indagato tradiva una voce maschile molto cavernosa. Il suo aspetto conferma che dal punto di vista fisico vale molto più dei suoi 16 anni. La barba, poi, tradisce un aspetto adulto, da maggiorenne di sicuro. E' un pezzo d'uomo, un “armadio”. La zia lo difende. «Mi stia a sentire», dice la donna, «Dal primo giorno abbiamo raccontato sempre la stessa storia. Anche ai carabinieri. I ragazzi», continua la signora che in alcuni momenti si accalora, alternandoli a quelli in cui si acquieta, «erano lì per costruire le gabbie dei polli. Il piccolo si trovava alle spalle della ragazza, e a un certo punto lo hanno trovato esanime sopra quella maledetta ruota. Aveva il volto pieno di sangue».
Ma perché allora raccontare più versioni dei fatti, sia ai carabinieri che agli operatori del pronto soccorso? «Mi meraviglio», conclude la zia, «che i carabinieri non ci abbiano ancora informato che la Procura dei Minori ha indagato mio nipote e la sua fidanzata. Ma in che Paese viviamo? Ad oggi, noi, non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione. Sa che le dico?», conclude, «Sono stati i ragazzi a salvare il bambino. Se non avessero dato l'allarme il mio nipotino sarebbe morto».
Intanto nella comunità giussaghese la vicenda viene affrontata con discrezione, per non disturbare, per non irritare ulteriormente la sensibilità dei familiari del piccolo, molto provati da questa situazione tremenda. La ricostruzione dell'incidente resta non molto chiara. Gli adolescenti sono stati iscritti nel registro degli indagati. Non risulta invece l’iscrizione del padre del piccolo, voce circolata ieri in paese. Tuttavia anche lui avrebbe fornito versioni diverse dell’incidente agli investigatori e agli operatori sanitari. Perchè? Forse per paura di perdere l'operatività dell'azienda? O forse per coprire chi in quel capannone non poteva proprio starci, assieme al bambino ?.
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