«Soldi in nero per corrompere gli enti» Scure interdittiva sulle ditte coinvolte
Dopo le inchieste, ora l’ interdittiva antimafia per le imprese che lavorano con appalti pubblici e finite nella galassia dei clan di camorra e ’ndrangheta smantellati dalle tre inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia. Sono almeno una decina quelle che sono state individuate dagli investigatori e che hanno sede nelle province toccate dalle inchieste. Ora spetta alle singole prefetture valutare le posizioni delle stesse.
Spiega il Prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto: «Ogni singolo comitato interforze che si riunisce periodicamente per valutare le imprese che chiedono l’inserimento nella white list dovrà ora valutare le segnalazioni che arriveranno dalla polizia giudiziaria che ha svolto le varie inchieste. Il comitato è formato da rappresentanti di Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e Dia», continua Zappalorto. «Quindi saranno valutate le segnalazioni relative alle ditte finite nell’inchiesta e che lavorano nel pubblico. Se queste già sono nella white list, rischiano di essere estromesse. Se tra loro ce ne sono che hanno fatto richiesta per essere inserite, difficilmente entreranno nell’elenco delle ditte che possono partecipare agli appalti. Infine di volta in volta, se si presenteranno per partecipare ad appalti, saranno valutate in base ai documenti inviati dagli investigatori», conclude Zappalorto.
Nel caso della nostra provincia la questione riguarda primariamente la Segeco riconducibile a F. S.. È una delle più note imprese impegnate nella costruzione e nella manutenzione della rete ferroviaria e punto di riferimento delle Ferrovie. Tra i lavori effettuati dalla società, lo scalo ferroviario di Porto Marghera, Portogruaro, Milano Mortara, la linea metropolitana di Mestre. E ancora alla Segeco è affidata, come si legge nel sito, la manutenzione dell’armamento ferroviario delle direzioni compartimentali di Venezia e Trieste. Lavori per i quali deve per forza essere inserita nella white list della nostra provincia. Rischia di essere estromessa e questo potrebbe portare alla perdita di un centinaio di posti di lavoro. Tanti infatti sono i dipendenti dell’azienda del “geometra”, come chiamavano F. S. gli appartenenti al clan dei fratelli Bolognino.
F. S. avrebbe riciclato 1,6 milioni di euro. Fatture false, scrive il giudice Gilberto Stigliano Messuti nell’ordinanza di custodia cautelare, «per abbattere l’imposizione fiscale e, in misura maggiore, per ottenere fondi occulti da poter liberamente utilizzare anche per delitti di corruzione operando le sue imprese prevalentemente con enti pubblici». In sostanza era in affari con i calabresi per coprire il nero che faceva e quindi creare fondi da usare per corrompere funzionari pubblici e aggiudicarsi gli appalti. C’è un’intercettazione, nel luglio del 2015 in cui, a una riunione a Padova, F. S. dice: «A me queste operazioni servono fondamentalmente per procurare della provvista... cash... non tanto per i costi, quanto per la provvista (...) Questa è la mia esigenza».
Ancora da chiarire il fatto se F. S. abbia corrotto qualcuno, oppure no, per aggiudicarsi gli appalti. —
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia