«Sindaco, vieni a trovarmi in via Piave»

La rabbia di Paolo Antonini, pestato per aver redarguito un uomo che stava facendo pipì sul suo cancello. "Ecco come siamo costretti a vivere qui dove i pusher spacciano dalla 13 a notte fonda"
Paolo Antonini e volanti della polizia in via Piave
Paolo Antonini e volanti della polizia in via Piave

MESTRE. «Ho un dente rotto, vari segni sul viso ma la Tac ha escluso ogni problema alla testa e così ho scelto di non passare la notte in ospedale e di tornare a casa». Paolo Antonini sabato pomeriggio era finito all’ospedale per aver redarguito un giovane che si era messo a fare pipì sul suo cancello di casa, in via Nervesa, davanti ai giardini di via Piave, sta meglio.

Ma la rabbia, quella non è passata. «Lo scriva, per favore, che invito il sindaco Brugnaro a casa mia. Io pago la pizza, lui porta le birre. Ceniamo assieme e poi usciamo a portare la spazzatura. Venga a vedere come siamo costretti a vivere nel quartiere Piave», ripete. L’invito, avanzato timidamente sulla sua pagina Facebook già sabato pomeriggio, ieri Antonini lo ha rilanciato, stavolta con forza. Ecco il suo messaggio a Brugnaro: «Caro sindaco io l'ho votata, ma l'ho fatto per scelta obbligata, fra un po’ è un anno che lei sta lavorando gratuitamente, una cosa molto nobile, ma mi domando: visto che lei dice che i cittadini devono appropriarsi della città e visto i "positivi " risultati, non sopporto che la cosa si ripercuota sui miei figli. Le rinnovo l'invito a casa mia, così poi magari ci facciamo un ludico giro per le mie amate vie, come aveva fatto in campagna elettorale quando in piazzale Bainsizza ha rincorso un pusher. Io mi limito a prenderle dai pusher. Magari assieme concludiamo qualcosa», è l’appello.

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Al telefono da casa, dove la moglie lo accudisce amorevolmente assieme ai figli, Paolo Antonini prova a fatica a ricordare l’aggressione di sabato: «Ero in giardino, con l’amministratore e mio figlio di otto anni. Stavamo sistemando le piante. I pusher ora che l’edicola di via Piave è chiusa si concentrano tutti lì. Arrivano all’una e restano fino a notte. Uno di loro è venuto verso la casa e si è messo a fare i suoi bisogni sul cancello. Allora io gli ho urlato di andarsene e lui ha cominciato ad offendermi, ha offeso anche mia madre, e ha cercato di tirarmi uno schiaffo. Allora io non ci ho visto più, sono rientrato a prendere le chiavi e ho aperto il cancelletto e sono uscito, affrontandolo. Poi non ricordo più nulla. Mi hanno detto che mi ha preso a calci e pugni in faccia ma io non ricordo».

Antonini vive in via Piave dal 1996, nelle casette dei ferrovieri. «Lo sa che quando siamo arrivati qui via Piave era una via elegante, era bello fare la passeggiata con mamma. Le agenzie venivano a chiedere se c’erano case in vendita perché erano molto ricercate. Ora queste case non valgono più nulla. Ma mi chiedo: Perché dovrei andarmene? Ha ragione Brugnaro a dire che dobbiamo essere noi cittadini a riappropriarci della città ma lui deve darci una mano, perché la sera non fanno che vendere droga e i ragazzi vanno in via Salettuol a bucarsi. I controlli ci sono, ci sono le retate delle forze dell’ordine ma serve una pressione continua e costante. Perché gli spacciatori in questa zona sono davvero tanti. E io cosa posso fare da solo? Ho preso le botte; mio figlio che ha assistito al pestaggio ora è choccato; mia moglie che sa che sono uno che non è mai disattento (partecipavo alle passeggiate nel quartiere di mesi fa), adesso è molto preoccupata per me. Insomma, serve un intervento più incisivo da parte delle forze dell’ordine», si sfoga il cittadino.

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Fino a mercoledì Antonini, per i postumi del pestaggio, dovrà rimanere a casa. Oggi deve tornare in ospedale per il dente rotto. La grande paura non ferma la voglia di reagire ai soprusi di chi ha preso il quartiere come “la terra di nessuno”. «Ho appena saputo che hanno defecato nella casetta qui vicino. Noi siamo rassegnati, loro fanno quello che vogliono, senza problemi e senza rispetto. Chiudersi in casa è sbagliato ma il sindaco e le forze dell’ordine devono darci una mano per reagire».

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