Simone e il sogno di lavorare in cucina: «Ora ce l’ho fatta»
Sveglia alle 6, colazione, poi veloce a prendere il bus da Spinea per Mestre. Alle 7.15, dalla fermata di via Cappuccina, parte il “Mogliano” per Marocco. Una passeggiata e poi Simone arriva al lavoro, il ristorante-mensa delle assicurazioni Generali, dove lavora in cucina, un po’ fa l’aiuto pizzaiolo e un po’ dà una mano in sala, portando l’acqua ai tavoli.
E’ un lungo tragitto che però riempie Simone Vescovo di gioia. Perché lavorare gli piace, perché il viaggio che lo ha portato a Mogliano è in realtà iniziato tanti anni fa, quando era solo un bambino, e i suoi genitori - pur senza perderlo mai d’occhio - facevano di tutto perché imparasse a cavarsela da solo. La domanda che si fanno tutti i genitori di ragazzi con difficoltà è: che ne sarà dopo di noi?
Oggi Simone Vescovo è un ragazzo di 29 anni con la sindrome di Down, con un lavoro in linea con quanto ha studiato, all’istituto alberghiero di Castelfranco. Poche settimane fa, quando ha firmato il contratto di lavoro di apprendistato per tre anni con la Cir, si è messo a piangere, di gioia.
«Erano anni che ci speravo», racconta Simone, «non è stato facile abituarsi ai ritmi di lavoro dei colleghi, ma quello che mi dicono di fare lo faccio. Cerco di imparare, mi impegno e i colleghi mi aiutano».
Tra le cose che più gli piace fare c’è aiutare il pizzaiolo, perché imparare a fare la pizza come si deve è il suo prossimo obiettivo. «Non è facile fare una pizza buona», dice Simone, che spiega anche di essersi ormai abituato a svegliarsi presto la mattina. La cucina è una delle due sue grandi passioni. L’altra è il calcio: milanista doc, sempre a sostegno del papà Cristiano - noto allenatore, in questa stagione allo Scorzé - di recente è stato anche premiato nell’ambito del premio Top Trivengas 2018 come appassionato non tesserato.
«Simone sa cucinare quando è a casa da solo, sa andare in giro, prendere i mezzi pubblici. Nel corso degli anni è riuscito ad acquistare la sua autonomia. Immaginarlo senza lavoro era come vederlo con una gamba sola, soprattutto pensando al suo futuro. E invece, a dieci anni dal diploma, da pochi giorni ha il suo contratto da apprendistato, non ci sembra vero», racconta il papà.
Nel percorso di autonomia il ruolo della famiglia, oltre a Cristiano ci sono la mamma Bruna e la sorella Michela (22 anni, il suo punto di riferimento) è stato fondamentale. Dopo l’alberghiero a Castelfranco, Simone ha lavorato come bidello per 4 anni nelle scuole di Scorzè, poi è entrato come tirocinante alla Pellegrini, che aveva l’appalto del ristorante della sede delle Generali. Poi, alla scadenza dell’appalto, la speranza di trasformare il tirocinio in posto di lavoro diventa paura. Nella gestione della mensa subentra la Cir. Proroga il tirocinio, per conoscere Simone. E poi decide che è arrivato il momento di fargli firmare il contratto.
«Dopo averlo conosciuto nella fase di tirocinio, attraverso il Servizio integrazione lavoro di Dolo, abbiamo deciso di assumerlo», spiega Silvia Griggio della Cir, che ha Marocco a 40 dipendenti «e il nostro obiettivo è di assumerlo a tempo indeterminato al termine dei tre anni. Il lavoro lo sa fare, il rapporto con i colleghi è buono, non ci sono ostacoli. I contratti di apprendistato servono poi per stabilizzare il personale». Nel frattempo Simone si rimbocca le maniche, ce la mette tutta. Guarda e ruba i segreti del pizzaiolo, magari tra un po’ toccherà a lui far girare l’impasto prima di metterlo nel forno.
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