Si accascia e muore alla partita di calcetto

MESTRE. Ha smesso di parlare e si è accasciato su un fianco. Il cuore di Angelo Marco Giordano, 32 anni, ha cessato di battere sotto gli occhi impotenti dei suoi compagni di squadra, molti dei quali conosciuti sui banchi di scuola.
A nulla sono valsi gli sforzi per rianimarlo, né quelli dei giocatori, né quelli del 118. Se ne è andato come Piermario Morosini, mentre faceva la cosa che più amava, giocare a pallone, lui che sul giocatore del Livorno aveva discusso la tesi di laurea in scienze motorie. “Giordi”, lo chiamavano affettuosamente gli amici, è morto giovedì sera poco prima delle 23 nella palestra del Gramsci Luzzatti alla Gazzera, in via Mattuglie, dove stava giocando la partita di calcio a 5 con la sua squadra mestrina, il M.U.C., di cui era vice capitano, contro l’Autoscuola Dalla Mura.

La tragedia. Una serata con qualcosa in più delle altre, perché giovedì i giocatori si conoscevano tutti, dentro e fuori dal campo. Marco Giordano, allenatore, istruttore, docente di educazione fisica originario di Reggio Calabria, aveva appena lasciato l’area di gioco, non perché era stanco, ma perché doveva scambiarsi con un compagno. Era seduto sui gradoni della palestra, stava caricando la squadra, quando a un certo punto, ha smesso di parlare. Si è accasciato su un fianco.
I compagni se ne sono accorti immediatamente, all’inizio pensavano fosse un calo di pressione, gli hanno alzato le gambe. Poi, però, hanno visto che faticava a respirare, così l’hanno steso a terra mentre due giocatori, Fabio e Andrea, gli praticavano la respirazione e il massaggio cardiaco. Istanti concitati. È stato chiamato il 118, giunto in decina di minuti, alle 22.38, ma era già troppo tardi. I sanitari hanno tentato disperatamente di rianimarlo, il medico ha provato con l’adrenalina. Niente da fare. Poco dopo è stato dichiarato il decesso. Gli amici hanno contattato i genitori e il fratello Federico, poi la fidanzata Valeria. Sul posto le forze dell’ordine, il presidente dell’Asd Real Fenice, con cui collaborava e lavorava, Giuliano Scattolin. Increduli, senza parole.

Una vita per il pallone. Il 32enne abitava in una laterale di via Miranese e insegnava in diverse scuole di Mestre, faceva attività pomeridiane, allenava i ragazzi della Fenice Junior e del Real Fenice. Era esperto in tecniche di massaggio, idroterapia, kinesi, preparato e sempre aggiornato. L’unico che riesce a parlare e fare forza alla famiglia, è Federico, il fratello più piccolo, che lavora all’Hard Rock Cafè a Venezia. Giovedì sera era a lavoro, a un certo punto ha visto una chiamata dal telefono di Marco: erano gli amici, ha capito subito che era successo qualcosa. Ha preso un taxi, gli ha detto di correre più che poteva, quando è arrivato la tragedia si era consumata. «Mio fratello era super sportivo, un vero malato di calcio: se il suo destino era lasciare ciò che amava a 32 anni, unica consolazione è che è stato mentre giocava a pallone, mentre faceva la cosa che amava più di tutte». Racconta: «Era una persona che si dava da fare, che per gli altri avrebbe fatto qualsiasi cosa, insegnava postura agli anziani, allenava i ragazzi, i bambini, lo faceva con tutto se stesso. Quando ho saputo mi è venuto in mente subito Morosini, perché aveva discusso la sua tesi proprio su di lui, sull’utilizzo dei defibrillatori a bordo campo. Era un pezzo di pane, aveva una pazienza infinita con tutti, dai più piccoli ai più grandi, indistintamente. Era il figlio modello, era un santo, il mio solo fratello».
Il mister. Lo ricorda ancora: «Il suo sogno è sempre stato quello di giocare a calcio, da che eravamo solo due bambini, noi siamo calabresi, lui andava a vedere le partite non solo qui, ma anche in trasferta, quelle della Reggina». Aveva la tessera di tifoso della Juve, ma il calcio lo amava tutto, specialmente la sua squadra, il M.U.C (campionato Eccellenza Csi). «Giocavano assieme dall’età di 14 anni, erano tutti al liceo Morin assieme». Un giovane che non beveva, non fumava, sempre controllato, per dare il buon esempio ai ragazzi che lo chiamavo “Mister” e che adesso non hanno più lacrime per piangere. «Giovedì stava chiacchierando, era appena uscito dal campo, aveva bevuto qualche goccia di tè dalla borraccia, lui era matto del tè idrosolubile. So che nei campionati amatoriali il defibrillatore non è obbligatorio, ma chissà che adesso, qualcosa si muova, perché se si ripetesse una simile disgrazia, si possa agire in tempo, anche se hanno provato a salvarlo in tutti i modi». Marco amava una frase di Bill Shankly, allenatore britannico, che ritornava spesso nei suoi pensieri: «Certe persone credono che il calcio sia una questione di vita o di morte: si sbagliano, è molto più di questo».
Sul corpo dell’atleta è stata disposta l’autopsia. Sospese tutte le partite dell’Asd Fenice.
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