Sfratto esecutivo, a Venezia chiude anche il Vecio Fritolin

VENEZIA. Chiude anche il Vecio Fritolin, antica trattoria veneziana rilanciata da una ristoratrice raffinata e attenta come Irina Freguia. Costretta a lasciare, perché sfrattata dal suo locale e la cosa che fa più male a chi lascia è che i proprietari delle mura, che hanno preso la decisione, sono altri ristoratori veneziani, che gestiscono noti ristoranti e osterie come Al Covo e Al Mascaron.
«Per motivi indipendenti dalla nostra volontà, dopo anni dedicati alla passione di una vita» recita la laconica e triste nota apparsa ieri «siamo costretti a comunicare ai nostri affezionati clienti che il Vecio Fritolin cessa la propria attività. Cogliamo l’occasione per ringraziarvi tutti per averci sempre sostenuto, sperando di aver lasciato un segno in una Venezia che, da oggi, perde una piccola parte della sua storia».
Il Vecio Fritolin è un ristorante di cucina veneziana tradizionale, rivisitata, in calle della Regina, che prende il nome dagli antichi fritolin, ovvero i luoghi dove sin dal ‘700 il popolo mangiava il pesce appena fritto. La tradizione è l'elemento distintivo della cucina del locale, tipica veneziana, ma rivisitata e arricchita con creatività e leggerezza. Irina Freguia, ristoratrice di origine sarda ma ormai veneziana d’adozione, l’aveva rilevato nel 2001 in gestione, portando la sua impronta e la sua cucina di qualità, che l’aveva portata anche a essere “ingaggiata” da François Pinault per curare la ristorazione della caffetteria di Palazzo Grassi e poi anche di Punta della Dogana, lasciate dopo qualche anno per l’impossibilità di gestirle insieme al Vecio Fritolin.
«Sono stato sottoposta a sfratto esecutivo» spiega Irina «perché ho “saltato” due mensilità di affitto in un momento di difficoltà, prontamente reintegrate, ma i proprietari ne hanno approfittato per sfrattarmi e riprendersi così il locale. Pagavo oltre 5.400 euro mensili di affitto (più Iva), non poco e dovrò ora lasciare a casa anche i miei sette dipendenti. Lo sfratto è stato talmente fulmineo che sono già fuori e non c’è stata neppure la possibilità di chiedere un risarcimento. A settant’anni, sono costretta a lasciare Venezia e ad andare in terraferma perché non posso permettermi di restare. Anche dopo i gravi danni dell’acqua alta del 12 novembre non abbiamo avuto alcun aiuto concreto dal Comune. Ormai sembra che per la ristorazione tradizionale, anche se rivisitata non ci sia più spazio in questa città. Sopravvivono gli “stellati” e il turismo di passaggio non si ferma certo a mangiare le specialità veneziane e quello di qualità non ha voglia di aggirarsi tra la paccottiglia cinese. La liberalizzazione con i decreti Bersani ha rovinato questa città consegnandola a un turismo di bassissimo livello ed espellendo le attività tradizionali, ma il Comune aveva gli strumenti normativi per fermare questa deriva. Ormai è troppo tardi e l’unica consolazione nel trasferirmi è che non vedrò più lo stato desolante in cui Venezia è ridotta. Quello che dispiace di più, come nel mio caso, è che siano gli stessi veneziani ad accelerare questo processo, come se a nessuno ormai importasse niente di quanto sta accadendo». —
Enrico Tantucci
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