Sessant’anni, un figlio La difficile vita di una precaria doc
Sessant’anni e due figli, di cui uno a carico. Affitti e bollette da pagare. Ma improvvisamente il lavoro non c’è più. Non basta aver prestato servizio con merito in uffici delicati, come il casellario giudiziale. La precarietà a volte significa orizzonte a termine. Una vita che viene sospesa.
Lady Vitturi (si chiama proprio così) è una signora di Burano che l’altra sera in Consiglio comunale a Mestre ha urlato la sua disperazione. «Sono tra i venti precari che non sono stati riassunti», dice. «Non sono l’unica, per carità. Ma trovo incredibile che di questa situazione nessuno si faccia carico».
Ci racconti la sua storia.
«Nel 2007 ho partecipato a un concorso comunale e ho vinto la selezione per il livello A1. Mi hanno destinato allo sportello del casellario della Procura della Repubblica. Nel 2010 ho superato un’altra selezione. Con il commissario mi sono occupata di gestire le start-up e la vicenda Herion».
Prima che lavoro faceva?
«Ho fatto di tutto. Ho lavorato nel commercio e nei Pubblici esercizi. Ogni giorno cercavo di trovarmi un lavoro. Ho due figli, uno abita ancora con me e studia. Gli avevo fatto una promessa diversa per il suo futuro quando dieci anni fa ero stata assunta».
Forse si apre uno spiraglio.
«Lo spero. Da quel lavoro dipende la mia vita. E poi è anche una questione di buona amministrazione».
In che senso?
Siamo gente preparata, un capitale su cui la pubblica amministrazione ha investito. Perché buttare via tutto e ricominciare daccapo?
Cosa chiede al sindaco?
«Intanto che ci incontri, ci ascolti. Possiamo essere anche una risorsa per questa città. Poi, che se ci sono delle risorse disponibili, queste siano divise tra tutti i precari. Il sindaco è un imprenditore del lavoro, riuscirà a trovare lavoro a queste persone... Non veniamo dalla luna. Stiamo già lavorando per l’amministrazione».
Hanno annunciato altri concorsi.
«Ma quanti concorsi ancora dobbiamo fare? Abbiamo superato le selezioni, ci sarà una graduatoria, no? Chiediamo che ci ascoltino. Ma soprattutto che leggano i curricula. Molti di noi hanno accumulato esperienze preziose. Io sono la più vecchia, ma c’è gente che parla cinque lingue. Che ti trova la paglia senza buttar giù la casa che ci sta sopra, come si dice. Speriamo».
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