Sempre più navi da costruire ma Fincantieri crolla in Borsa

Malgrado il “pieno” di ordini nei cantieri, l’azienda controllata dallo Stato è a corto di liquidità I sindacati: «Puntano tutto sulla finanza internazionale mentre in Italia tagliano le busta paga»

MARGHERA. Cresce la tensione nei cantieri navali veneziani dove si costruiscono le grandi navi da crociera: sono in programma altre dodici ore di sciopero per le prossime settimane. Da quando l’azienda ha disdetto - nell’aprile scorso - il contratto aziendale, in proroga da tempo, le buste paga dei lavoratori sono state tagliate di 120 euro al mese, mentre le trattative per il suo rinnovo, di fatto non sono ancora iniziate. E come se non bastasse, alla Fincantieri c’è il paradosso di un portafoglio ordine di navi da crociera che sfiora i 20 miliardi di euro, mentre il valore delle azioni di Fincantieri quotate in Borsa da poco più di un anno sono precipitate da quota 0,78 euro a 0,59, con una perdita del 23 per cento, mentre l’indebitamento netto ha superato i 200 milioni e la società vede aumentare i suoi problemi di liquidità.

Tant’è che nei corridoi della Borsa e negli ambienti finanziari si parla da giorni di un’inevitabile ricapitalizzazione con un’operazione che dovrebbe essere presentata al consiglio di amministrazione di Fincantieri il 10 novembre quando dovranno essere approvati i risultati del terzo trimestre 2015. L’operazione deve ottenere il via libera della Cassa Depositi e Prestiti che controlla ancora il 70% del capitale del gruppo, visto che la quotazione in Borsa ha fruttato solo 350 milioni di euro rispetto agli oltre 600 previsti.

«In merito alle indiscrezioni relative ad un ipotetico aumento di capitale di Fincantieri», spiega una succinta nota stampa diramata da Fincantieri spa nei giorni scorsi, «chiariamo che ad oggi nessuna decisione è stata presa e nessun advisor è stato incaricato di studiare tale operazione».

Di avviso contrario, però, sono i sindacati che si dicono preoccupati non solo della situazione finanziaria aziendale, ma anche dall’annuncio del ricorso alla cassa integrazione nei cantieri palermitani e per lo stallo in cui si trovano da mesi le trattative per il rinnovo del contratto aziendale. «Purtroppo il gruppo dirigente di Fincantieri», ha dichiarato Diego Panisson della Uilm veneziana, «da tempo è impegnata in operazioni industriali e finanziarie all’estero, mentre nei suoi cantieri italiani la situazione si sta facendo drammatica, non tanto, a parte la situazione particolare esistente a Palermo, per la mancanza di lavoro, bensì per la linea di scontro diretto con i lavoratori che sfornano navi da crociera per i maggiori armatori mondiali e a seguito del mancato rinnovo dell’integrativo hanno perso complessivamente decine di milioni di euro, mentre i dirigenti continuano a ricevere i loro lauti compensi e incassano premi e i consulenti esterni vengono strapagati».

«Fincantieri in questi anni ha concentrato i propri interessi sul terreno finanziario», sostiene a sua volta Bruno Papignani, responsabile per la cantieristica della Fiom-Cgil nazionale. «Nel frattempo sul terreno industriale, dove la situazione di mercato è più che rosea, l'azienda continua ad assumere atteggiamenti di chiusura, se non autoritari, nei confronti delle richieste sindacali e delle rivendicazioni dei lavoratori chiudendo le porte alla loro partecipazione. È un atteggiamento suicida, perché di fronte alle difficoltà che il gruppo sta incontrando a livello finanziario, sarebbe necessario un ripensamento che rimetta la produzione industriale al centro dell'attenzione aziendale e consideri il confronto con i lavoratori e i loro rappresentanti una risorsa per il futuro del gruppo». Nessuna presa di posizione, per ora, è invece venuta dalla Fim-Cisl nazionale e locale.

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