Semaforo verde per il ponte sul Brenta

Il Tribunale superiore delle acque di Roma rigetta il ricorso dei titolari delle darsene: «Argomentazioni infondate»

CHIOGGIA. Semaforo verde per il ponte sul Brenta. Il Tribunale superiore delle acque di Roma, a cui si erano rivolti i titolari delle darsene per fermare il progetto, ha rigettato il ricorso considerando infondate tutte le argomentazioni sollevate contro l’opera di cui si è ribadita l’importanza strategica nel contrasto alla risalita del cuneo salino e nella salvaguardia dell’agricoltura.

Ora l’appalto, già assegnato, potrà procedere con la cantierizzazione dell’opera. L’intervento, finanziato in larga parte dal Ministero delle attività produttive, prevede uno sbarramento anti-intrusione salina alla foce del Brenta, per fermare la risalita del mare sul fiume con la conseguente minaccia per le colture di tutta la zona, e un tratto carrabile nella parte superiore configurando di fatto un nuovo collegamento viario tra Sottomarina e Ca’ Lino.

La sentenza, la 297 del 2016, respinge le motivazioni delle darsene ricorrenti (Brenta Service boat, Marina di Brondolo, Meridiana Orientale e Approdo turistico Brenta Mare) e concede alle amministrazioni (Ministero, Regione, Consorzio di bonifica, Comune) coinvolte di procedere con l’opera. Il Tribunale considera infondate le obiezioni dei titolari delle darsene i quali sostengono che l’opera, in quel particolare punto, crea problemi alla navigazione dei diportisti pregiudicando in modo rilevante le loro attività.

Contestano anche che si tratti di una novità importante per la viabilità dato che il ponte, rispetto al progetto originario vicino alla foce, è stato spostato nel corso dell’iter avvicinando a quello già esistente sulla Romea diventando un doppione.

Nel rigettare le obiezioni il Tribunale aggiunge anche due precisazioni preliminari. «L’opera ha natura strategica», si legge nella sentenza, «anche per preservare la qualità del corpo idrico del Brenta e della laguna di Venezia, combattendo il fenomeno del cuneo salino. Quest’ultimo consente l’infiltrazione in un territorio già particolarmente fragile dell’acqua marina nelle falde di acqua dolce inducendo il fenomeno della desertificazione. È mera petizione di principio sia la pretesa a fronte di uno sbarramento sul fiume (che per definizione non deve consentire lo scambio di acque in alveo e dunque deve ridurne la portata) sia la totale opponibilità dei titoli concessori sul complesso delle darsene o la loro compatibilità urbanistica».

Respinte anche le considerazioni sulla viabilità. «Questo elemento non ha alcun pregio», si legge nella sentenza, «perché l’opera, quantunque possa servire per migliorare la viabilità comunale, non ha questo scopo precipuo poiché deve fermare la risalita del cuneo salino. Sicché l’eventuale distonia tra la realizzazione dell’opera e l’allacciamento a una viabilità generale ancora da venire è manifestamente irrilevante rispetto allo sbarramento, se non un argomento specioso».

Eliminato dunque il macigno giudiziario che impediva qualsiasi avanzamento del progetto, ora l’opera potrà essere cantierata.

Elisabetta Boscolo Anzoletti

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia