Seconda lettera al Papa dei lavoratori Ditec

Quarto. Appello dei 40 dipendenti vittime della localizzazione selvaggia: «Santo Padre ci aiuti»

QUARTO. «Le chiediamo, Santità, di proseguire con i suoi appelli e i messaggi affinché, da questo tunnel in cui la nostra economia si è infilata, si possa davvero ritrovare la luce».

I lavoratori della Ditec di Quarto d’Altino, attraverso alcuni loro rappresentanti, tornano a rivolgersi a Papa Francesco. Per le maestranze dell’ormai chiuso stabilimento di via Pascoli è un momento molto delicato. Il primo anno di cassa integrazione è già passato e sono ancora una quarantina i lavoratori che attendono di poter trovare una nuova occupazione oppure un compratore disposto a riavviare l’attività altinate. Resta un altro anno di cassa integrazione al termine del quale, il prossimo 30 settembre, i lavoratori si ritroveranno senza più alcun sostegno.

La lettera a Papa Francesco è stata sottoscritta da Fabrizio Bergamo delle Rsu della Ditec, ma anche da Roberto Dal Cin, ex presidente della commissione lavoro della Provincia. Bergamo e Dal Cin ieri hanno consegnato la missiva al gesuita Padre Massimo Rastrelli (presidente della Consulta nazionale anti usura) che si occuperà di farla recapitare al Santo Padre.

All’incontro erano presenti anche la consigliera comunale Cristina Baldoni e Fiorenzo Lorenzon, vice presidente della fondazione San Giuseppe Moscati. «Da tempo purtroppo il male che prevale nella nostra economia si chiama delocalizzazione, che ormai prende sempre più piede ed è usato soprattutto dalle multinazionali che investono nel nostro Paese. Ma con questa operazione non si va a fare del bene in altri luoghi: si vanno a sfruttare altri lavoratori impoverendo anche quelli dove prima c’era la produzione», si legge nella lettera. La Ditec è proprio un caso di delocalizzazione. Un’azienda rilevata dalla multinazionale svedese Assa Abloy, che poi ha spostato la produzione in Repubblica Ceca e Cina. «E in tutto questo cosa prevale? La logica del profitto che Lei, Santo Padre, ha avuto il coraggio e la grande capacità di condannare. Ricordiamo ancora le sue significative parole: “Fa notizia il calo delle Borse, ma non la morte di un povero sulla strada”», conclude la lettera, «Le vogliamo inoltre ricordare che i primi a voler bene all’azienda e a lavorare per i suoi successi sono i lavoratori. Noi Le chiediamo, Santità, di proseguire ancora con i suoi appelli e i messaggi affinché, da questo tunnel in cui la nostra economia si è infilata, si possa davvero ritrovare la luce».

Giovanni Monforte

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