Scontro a San Donà sulla frase del Duce

Le parole scolpite sul marmo del municipio riaccendono vecchi dissapori tra il mussoliniano Mazzon e Balliana (ex Anpi)
DE POLO - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' DI PIAVE - TARGA E SCRITTA DETTATA DA MUSSOLINI PRESENTE IN MUNICIPIO
DE POLO - DINO TOMMASELLA - SAN DONA' DI PIAVE - TARGA E SCRITTA DETTATA DA MUSSOLINI PRESENTE IN MUNICIPIO
SAN DONÀ. La frase pronunciata da Benito Mussolini il 3 giugno 1923 nel municipio di San Donà è scolpita nella memoria oltre che nel marmo del palazzo affacciato su piazza Indipendenza. Mentre in Italia la legge Fiano contro la propaganda fascista fa discutere, addirittura sulla necessità di cancellare la scritta Mussolini Dux dall’obelisco del Foro Italico a Roma, San Donà ha affrontato un caso simile, ma al contrario.


Perché in riva al Piave, invece, la firma del Duce è ritornata dopo che era stata abrasa dai partigiani nel 1945. “Qui una volta giunse il nemico, gli italiani giurano che non tornerà mai più”, aveva scolpito il Duce davanti alla scalinata principale del municipio quando venne in visita alla città. Un riferimento alla Grande Guerra. Nel 1945 i movimenti dei partigiani cancellarono la firma che ricordava chi l’aveva pronunciata, ma pare che la firma ritornò qualche anno più tardi, fino a quando nel 1965 Antonio Balliana, comunista e consigliere comunale la fece nuovamente cancellare. Una firma “ballerina” che è tornata poi a metà degli anni ’90 con il sindaco leghista, il primo del Carroccio a capo della città, Gianfranco Marcon che ascoltò il suggerimento del missino Ennio Mazzon, mussoliniano della prima ora, che era seduto a sua volta in Consiglio all’opposizione. Oggi i protagonisti tornano d’attualità.


«Chi cancella la storia è un ignorante», sentenzia il muscolare Marcon, un sindaco che è stato leghista, ma di tradizione socialdemocratica, figlio di un podestà che poi divenne capo partigiano, Virgilio Marcon, a Zenson, «ecco perché decidemmo che quella scritta dovesse essere ricordata nel nome di Mussolini con la targa che poi abbiamo apposto. È storia, non propaganda».


Mazzon è ancora sulla cresta dell’onda e dal bar Girardi, suo quartiere generale, non vede l’ora, a 80 anni ormai compiuti, di gettarsi ancora nella mischia: «La città di San Donà è ricca di ricordi del Duce, molti dei quali purtroppo cancellati dai partigiani che ancora dovrebbero vergognarsi delle tante malefatte. Quella scritta è giusto che abbia un nome e un cognome, il Duce Benito Mussolini». Balliana, che è stato presidente dell’Anpi e oggi ancora in forza al sodalizio sandonatese, è un coetaneo di Mazzon e più volte con lui si è scontrato in liti dai toni guareschiani: «La firma è una vergogna e deve essere tolta ancora. Una frase priva di senso, smentita dalla storia e pronunciata da chi ci ha portati alla guerra e la sconfitta, l’ignominia che pesa ancora sull’Italia, essere stati alleati di Hitler, noi che siamo un popolo pacifico, brillante, colto, geniale, ma non certo guerriero. Nel 1965 ricordo che la firma di Benito era misteriosamente tornata dopo che i partigiani l’avevano abrasa come era giusto fosse. Marcon ha sbagliato ad accogliere quel suggerimento di Mazzon e oggi dovrebbe essere tolta nello spirito delle futura legge Fiano che giustamente vuole cancellare questa pagina terribile del nostro Paese».


Ma, a sorpresa, il moderato sindaco Andrea Cereser, del Pd, non è d’accordo: «Per la stessa ragione dovremmo abbattere il Colosseo perché i cristiani venivano uccisi dalle belve. La storia va studiata e compresa, non mi pare vi siano processioni o peggio manifestazioni terroristiche davanti a quella targa che quasi nessuno ricorda. Se la legge Fiano sarà approvata, è una legge dello Stato che non discuto e ci adegueremo».


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