Sconto di due anni a Keke Pan pena confermata a madre e zio
I giudici della Corte d’assise d’appello di Venezia (presidente Daniela Perdibon) hanno applicato uno sconto di pena di due anni e due mesi all’imprenditore cinese Keke Pan, riducendogli la condanna da sette anni e otto mesi a cinque anni e mezzo di reclusione. Mentre alla madre dell’ex “re di via Piave”, Li Lianqin, e allo zio Wu Jiasheng sono state confermate le condanne di primo grado: quattro anni e mezzo ciascuno. La camera di consiglio (non un processo in aula aperta al pubblico perché il procedimento era stato affrontato con i riti abbreviati davanti al giudice dell’udienza preliminare Massimo Vicinanza) si è svolta nell’aula bunker di Mestre. I magistrati di secondo grado hanno fissato il processo poco prima che scadesse la custodia cautelare e che l’imprenditore cinese fosse scarcerato (la sentenza naturalmente non è passata in giudicato e in caso di scadenza l’imputato sarebbe uscito dal carcere). Keke Pan dovrà restare recluso per scontare la sua pena. L’avvocato trevigiano Guido Galletti, ieri, ha giocato bene le carte della difesa.
L’udienza dell’11 aprile dello scorso anno davanti al giudice dell’udienza era terminata con cinque condanne con il rito abbreviato, tra cui i tre che si sono presentati ieri in aula bunker, sette patteggiamenti, tre rinvii a giudizio e un'assoluzione.
L’unico già allora ad essere rimasto in carcere era lui. Tra condanne e patteggiamenti in totale erano stati oltre 34 gli anni comminati alla “banda”. Oltre a quello che è stato indicato come il capo dell'organizzazione o meglio, della vera e propria azienda, dagli investigatori del Gico della Guardia di finanza, che hanno indagato con il coordinamento dei pubblici ministeri Roberto Terzo e Walter Ignazitto, a vedersi condannare ad una pena superiore a quella che la sospensione condizionale può cancellare erano stati la madre Li e lo zio Wu, quattro anni e mezzo. Sono gli unici che il 13 dicembre di tre anni fa erano finiti in carcere, mentre altri due erano stati raggiunti da un provvedimento di arresti domiciliari: si tratta della moglie veneziana dell'imprenditore cinese, Alessia Degnato, che aveva poi patteggiato una pena di due anni e una multa di 44 mila euro, e il lidense Massimiliano Salinetti, indicato come uno dei più stretti collaboratori del cinese, ma il suo difensore, l'avvocato Renzo Fogliata, aveva smantellato il castello accusatorio, facendolo assolvere per non aver commesso il fatto.
Gli altri nove erano stati raggiunti da un provvedimento di obbligo di dimora e la pena per loro è rimasta contenuta, comunque sospesa grazie alla condizionale. I reati contestati a Pan erano quelli di associazione a delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione e intestazione fittizia di beni immobili, mobili e società.
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