Sciopero dei medici "di famiglia" 8 e 9 novembre: «Vogliono smantellare la sanità pubblica di base»
VENEZIA. Oggi e domani rimarranno chiusi gli ambulatori dei medici di famiglia, per lo sciopero indetto dai sindacati di settore contro la mancata attuazione di alcune parti ritenute fondamentali del Piano sociosanitario regionale. Federico Cesaro è un medico di medicina generale in servizio dal 1982, e lavora nella Medicina di gruppo integrata di Marghera. Aderirà allo sciopero. «Ci sono più motivi per aderire e tutti validi. Dal mancato confronto con la Regione al ritardo nell’attuazione di tutti i punti previsti dal Piano sociosanitario».
Sembra però esserci molto di più.
«Infatti, se tutti assieme non riusciamo a farci ascoltare, significa che una parte delle istituzioni non tiene conto delle richieste. La mia impressione è che tutto il patrimonio legislativo, gli intenti e le idee sul Sistema sanitario nazionale, stia scemando un po’ alla volta».
Si spieghi meglio.
«Sembra che si rendano le cose sempre più difficili nel pubblico per favorire in maniera chiara o poco consapevole il privato. Non parlo di volontà da parte delle istituzioni, ma non mi piace la situazione. Rimango convinto che il Sistema sanitario nazionale non vada affossato. Non va disperso questo patrimonio, soprattutto per le persone meno abbienti che non si possono permettere le cure private».
Il fulcro dell’agitazione è nel Piano regionale?
«Sì, tutte le mancate attuazioni si legano tra loro. Non stanno bene neppure gli ospedalieri, quindi è poi tutto il sistema che fa fatica. La riduzione dei posti letto e dei tempi di degenza in ospedale, fa sì che sul territorio si riversino molti più pazienti. Ma senza strumenti adeguati, difficilmente si possono dare le risposte giuste».
Funzionano davvero le medicine di gruppo integrate?
«“Ci lavoro da tempo e tutto è migliorabile. È una scommessa voluta da questa Regione e poteva essere un fiore all’occhiello, ma da sola non può risolvere tutto. Offre vantaggi chiari ma non risolve il problema delle urgenze in Pronto soccorso».
Da medico, come si sente all’idea di scioperare?
«Fa molto male accettarlo, non mi appartiene come modo di agire, ma non è possibile evitarlo. Una persona che tiene a questo lavoro deve protestare. Forse abbiamo sbagliato a non farlo prima perché il disagio ormai è troppo grande e i motivi profondi».
Servirà questa protesta?
«Me lo auguro. Ma per il rischio di smantellare il Sistema sanitario nazionale devono muoversi anche le organizzazioni dei cittadini».
Cosa pensano i pazienti?
«Sanno che scioperiamo malvolentieri, sicuramente qualcuno lo vedrà come un disagio, però gli avvisi sono stati fatti».
Pensa che tutti i suoi colleghi sciopereranno?
«La fase del blocco del trasferimento dati per le ricetta era un discorso non scontato ma più facile. Ho paura che qualcuno tra i colleghi non abbia capito il motivo dello sciopero, e lo veda solo come rivendicazione per gli aspetti reclamati alla Regione. Se così fosse, avrebbero una visione distorta».
Su cosa punta il dito?
«Sulla burocrazia che ci sta distruggendo invece di semplificarci il lavoro e la vita. Penso alle difficoltà di prescrivere accertamenti, con i problemi sulle tempistiche per le liste d’attesa per le prime visite e quelle di controllo. Si va a snaturare il motivo della visita specialistica e ciò crea disagio a noi, al paziente, allo specialista e al Cup».
Ambulatori chiusi ma a domicilio sarete reperibili.
«Tutti quelli che aderiranno, di fronte a casi urgenti e non differibili, faranno le visite a domicilio. Anche per le certificazioni di malattia dei lavoratori, se indispensabili. Per un certificato medico qualsiasi in quel caso non rimarrà che il Pronto soccorso».
E a chi propone i medici ospedalieri per sostituirvi?
«Dico che non sarebbe una cosa logica a livello sindacale. Credo non andrebbe bene neppure agli ospedalieri, che sarebbero a loro volta a disagio venendo distolti da compiti più importanti a livello specialistico. Oltretutto con le carenze attuali nelle piante organiche».
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