Sciopero alla rovescia dei ricercatori «Siamo tappabuchi»

Una settantina di assegnisti e dottorandi di Ca’ Foscari manifesta l’insoddisfazione: al lavoro con maglietta griffata
Foto Agenzia Candussi/ Baschieri/ Mestre, via Torino/ Protesta dei ricercatori precari dell'università Ca' Foscari di Venezia
Foto Agenzia Candussi/ Baschieri/ Mestre, via Torino/ Protesta dei ricercatori precari dell'università Ca' Foscari di Venezia

MESTRE. Hanno scioperato lavorando e lanciando un messaggio. Ieri in molte città italiane e a Venezia nelle sedi di Ca’ Foscari della città storica e della terraferma, una settantina tra assegnisti, ricercatori, dottorandi, docenti a contratto e, per solidarietà, anche qualcuno del personale universitario strutturato, ha lavorato indossando però una maglietta rossa con il disegno di due studiosi con le braccia conserte.

Il logo è diventato il simbolo della protesta contro la bocciatura del governo dell’emendamento che chiedeva che a quella parte del personale universitario venisse riconosciuta l’indennità di disoccupazione. «C’è stata grande partecipazione», ha detto Elena Gregoris del Coordinamento ricercatrici e ricercatori non strutturati, «sia del personale precario che di quello strutturato. Molti hanno aderito facendosi una foto con il logo e condividendole sui social. Speriamo che dare visibilità a questo problema possa portare a qualche cambiamento positivo».

Gli studiosi l’hanno chiamato “uno sciopero alla rovescia” perché non ha influito direttamente sul programma previsto, ma è stata comunque l’occasione per molti ricercatori di rendersi visibili e di prendere contatti tra loro, in modo da poter continuare la discussione che verrà riproposta in vista della Legge di Stabilità del 2017. Alla mattina sono stati appesi i volantini rossi in tutte le sedi. Qualche docente ha fatto lezione con la maglietta, spiegando agli studenti cosa stesse succedendo. «Si tratta di una protesta gentile», ha detto il gruppo del Dipartimento di Economia di San Giobbe formato da Nunzia Coco, Silvia Panfilo, Stefano Lipira, Giorgia Simion, Lala Hu, Luca Pareschi, Caterina Cruciani, Anna Moretti con la solidarietà dei colleghi all’estero Andrea Boldin, Elena Bruni e Sara Khan, «ma il problema esiste. Mancano gli investimenti in Italia e i fondi investiti nell’istruzione sono quelli che danno i frutti in un periodo più lungo».

«Nella quotidianità le conseguenze si sentono sulla famiglia», racconta Anna Moretti, docente a contratto di Destination Management da 7 anni, «e se non si ha un partner con un lavoro fisso, è difficile trovare stabilità». Molti ricercatori iniziano i loro studi con un finanziamento, ma spesso si trovano costretti a interromperli perché mancano i fondi. «Anche se rappresentiamo la maggior parte della struttura universitaria», spiega Lipira, «ci sentiamo dei tappabuchi. Oggi spiegherò ai miei studenti com’è la situazione italiana di chi vuole fare ricerca».

Vera Mantengoli

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