Scandalo Mose, Baita scarica su Mazzacurati: "Era accecato dal potere"
VENEZIA. «Dovevamo andare fino in fondo e, invece che limitarci a mugugnare, avremmo dovuto contestare la sua leadership. Ho sbagliato anch’io, certo, per me era più difficile perché era come un secondo padre». Conclusa la seconda e ultima parte della sua lunga testimonianza davanti al Tribunale - che deve giudicare l’ex sindaco Giorgio Orsoni, l’ex europarlamentare Lia Sartori, l’ex ministro Altero Matteoli per la corruzione del Mose - Piergiorgio Baita parla ancora con i cronisti, fuori dell’aula, dove ha chiaramente spiegato che quello che è accaduto si deve soprattutto a Giovanni Mazzacurati. Sarebbero stati numerosi i punti d’attrito tra i rappresentanti delle grandi aziende socie e il Consorzio, in particolare il suo presidente.
«Anche negli ultimi anni, quando ormai i lavori per il Mose erano ben avviati, Mazzacurati ci chiedeva soldi per metterli nella contabilità nera e pagare le campagne elettorali», ha spiegato ai giudici Baita, «e noi avevamo dubbi sulla gestione, non tanto per il timore di una gestione personalistica, insomma non pensavamo che Mazzacurati se li mettesse in tasca, ma il dubbio riguardava l’utilizzo che lui ne faceva, versava finanziamenti per le campagne elettorali e noi non eravamo d’accordo, era un regime, alla fine, che non ritenevamo più necessario. Lui voleva raggiungere posizioni di potere puro. Aveva bisogno di sostegno dei politici per aumentare la forza del Consorzio Venezia Nuova contro di noi, imprese, e per evitarne lo smantellamento nella fase del dopo Mose».
E ancora: «Lo scontro tra Mazzacurati e il sindaco Orsoni per la gestione dell’Arsenale per i soci aveva poco senso, noi volevamo solo andare avanti e finire l’opera, mentre Mazzacurati voleva trasformare il Consorzio in un ente con un peso politico nella città. Ci pareva uno scontro tra un sindaco e un parasindaco». E poi, i soldi, troppi: Mazzacurati spendeva e spandeva, stando a Baita, non solo quel 12 per cento sui lavori dovuto al Consorzio stando alla legge, ma «consumava anche le riserve di bilancio». Eppure, «nessuno, durante le riunioni, metteva in discussione le sue scelte, pur potendolo fare a norma di regolamento». Alla domanda dell’avvocato Emanuele Fragasso se i suoi erano degli ordini, l’ex presidente della Mantovani ha risposto: «Nei fatti lo erano».
I difensori di Orsoni, gli avvocati Arata e Tremolada, hanno evitato attentamente di porgli domande sui contributi consegnati da Mazzacurati all’ex sindaco e alle riunioni al Consorzio per decidere i pagamenti. Non hanno rischiato risposte ancor più precise. Parlando dell’ex sindaco, imputato di finanziamento illecito al partito, Baita ha sostenuto che «Mazzacurati metteva sul trono i re, che poi dovevano essere sottomessi alle esigenze del Consorzio». Rispondendo, infine, alle domande del pubblico ministero Stefano Ancilotto ha spiegato che il «primo referente politico generale di Mazzacurati era Gianni Letta, allora sottosegretario alla presidente del Consiglio di Berlusconi e altri a seconda delle composizione dei vari governi».
Ha aggiunto che in un’occasione, nel 2006, aveva accompagnato Mazzacurati, che consegnava personalmente le tangenti, sotto gli uffici del Magistrato alle acque perché doveva consegnare alla presidente Maria Giovanna Piva 50 mila euro. Inoltre, ha spiegato in quale modo l’ex presidente del Consorzio aveva agito per farle ottenere la consulenza per l’ospedale di Mestre, telefonando anche all’allora direttore generale dell’Ulss 12 Antonio Padoan, per convincerlo e lui disse che era d’accordo. Sull’imprenditore romano Erasmo Cinque, esponente di Alleanza nazionale e amico dell’ex ministro Matteoli, ha sostenuto che tra i soci c’era chi gli aveva raccontato che l’imprenditore romano frequentava gente poco raccomandabile, come Massimo Carminati, il neofascista protagonista di Mafia capitale, ma «io non diedi peso a quelle parole», ha chiuso.
Prima della conclusione, Matteoli ha voluto rilasciare una dichiarazione spontanea, sostenendo di non aver mai preso un soldo per i lavori di bonifica di Porto Marghera e di non aver raccomandato l’impresa di Cinque. Per quanto riguarda Mazzacurati ha riferito che quando andava a Roma visitava per primo Palazzo Chigi, quindi il ministero dell’Economia e solo per terzo il suo ministero, quello dell’Ambiente. La giornata è terminata con la testimonianza del maresciallo della Guardia di finanza Andrea Paternoster del Nucleo di Polizia Tributaria, uno degli investigatori che ha condotto gli accertamenti. Prossima udienza giovedì 22 settembre: in aula ci sarà il ragioniere della Mantovani, Nicolò Buson.
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