Scandalo Cromatura Piavense una condanna a 3 anni e 4 mesi
MUSILE. Per l’inquinamento della «Cromatura Piavense srl» di Musile, l’amministratore di fatto, Leandro Trentin (56 anni di Castelfranco Veneto), è stato condannato ieri dal giudice monocratico di Venezia Andrea Bortoluzzi a tre anni e quattro mesi di reclusione. L’imprenditore, inoltre, dovrà sborsare subito 39 mila euro: 20 mila di provvisionale per risarcire il Comune di Musile, più tremila euro di spese legali, tremila euro di risarcimento più duemila di spese legali ciascuno per Wwf e Lega Volontariato Veneto.
Infine, il risarcimento per la Regione e la Città metropolitana verrà stabilito dal Tribunale civile, ma i due enti avranno ciascuno tremila euro per le spese legali sostenute per la loro costituzione di parte civile. Il magistrato ha sostanzialmente accolto le richieste del pubblico ministero di Venezia Giorgio Gava per quanto riguarda Leandro Trentin, invece ha assolto per non aver commesso il fatto gli altri imputati, il fratello Roberto Trentin (57 anni, Castelfranco), Maurizio Boccato (54, Castelfranco) e Rosanna Piccolo (69, San Donà).
Le identità dei quattro soci occulti finiti sul banco degli accusati erano venute alla luce solo dopo i controlli sulla documentazione della società a seguito del suo fallimento. I quattro dovevano rispondere di omissione dolosa di cautele contro infortuni o disastri, un reato che prevede una pena da tre a dieci anni di reclusione. E in via Emilia, a Musile, stando all’accusa, un disastro ambientale c’era stato. Perché, stando ai tecnici dell’Arpav che più volte erano intervenuti, nel terreno e anche nella falda acquifera c’era finito il cromo esavalente, il nichel e gli altri metalli pesanti fuoriusciti dall'azienda nel corso degli anni in cui la produzione era avviata. Una concentrazione addirittura superiore migliaia di volte al limite imposto dalla legge. Due degli indagati, tra l’altro, erano titolari a Castelfranco della «Zincatura Trentin & Boccato srl», anche quella finita nei guai: c'era infatti il sospetto che pure alla zincatura accadesse quello che era stato riscontrato alla cromatura, cioè che non ci fosse alcuna attenzione per sversamenti e conseguenti inquinamenti di sostanze tossiche e cancerogene. O meglio, i titolari della fabbrica non erano semplicemente distratti, ma non avrebbero messo in atto i sistemi preventivi per evitarli. La ditta di Musile era tenuta d’occhio dai tecnici del Comune dal 2003, ma è cinque anni dopo che era stata scoperta una vasca sotterranea con il cromo esavalente. A quella scoperta poi ne erano seguite molte altre e tutte di segno negativo, insomma quella fabbrica, che dava lavoro a più di venti dipendenti buona parte dei quali extracomunitari, era un contenitore di veleni, molti dei quali erano finiti sotto terra perché non erano state utilizzate le cautele necessarie.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © La Nuova Venezia