Save, Brugnaro sotto attacco «Sbagliato vendere le azioni»
Il consigliere Pellicani (Pd) contesta la decisione della Città metropolitana: non serve alla città, così gli enti locali escono dal governo della società aeroportuale. La replica: «Era una scelta obbligata»
«Save in mano ai fondi stranieri. E i dividendi serviranno per pagare i debiti con le banche e non per investimenti sul territorio. Far uscire la Save dalla Borsa non serve alla città, ma solo a evitare la scalata a Marchi del gruppo Atlantia di Benetton». Va all’attacco della Save e del suo presidente Enrico Marchi il consigliere comunale del Pd Nicola Pellicani. E critica duramente anche il sindaco Luigi Brugnaro, che come consigliere del Cda di Save ha approvato la delibera per l’Opa (Offerta pubblica di acquisto) del 39,2 per cento del capitale. Vengono messe sul mercato 21 milioni e 767 mila azioni al prezzo base di 21 euro ad azione. Ad aderire all’Opa, mettendo dunque in vendita le azioni di sua proprietà (il 4,78 per cento) è anche la Città metropolitana guidata da Brugnaro. Ne manterrà solo 500 a titolo simbolico. Ma con il nuovo assetto, Brugnaro non entrerà più nel Cda.
«Era una scelta obbligata, il sindaco non sarebbe rimasto nemmeno se avessimo tenuto il 4 per cento», spiega l’assessore al Bilancio del Comune Michele Zuin. Perché vendere? Perché dopo la decisione di uscire dalla Borsa – che avverrà comunque al termine di questa operazione finanziaria – le istituzioni pubbliche che detengono quote minoritarie come la Città metropolitana «devono» vendere. Dopo il
delisting
il titolo subirà un forte deprezzamento e diventerà più difficile alienare le azioni».
Ma uscendo dalla Borsa, accusa Pellicani, «ci saranno meno trasparenza, meno controlli oggi assicurati da Consob. Non basta. Se non avesse venduto, la Città metropolitana avrebbe introitato quest’anno un dividendo di un milione e mezzo, poco inferiore al milione e 800 mila del 2016. Così incasserà in una volta 50 milioni, ma uscirà dal governo della società aeroportuale.
Non basta. «Tre mesi fa il presidente Marchi è venuto in Consiglio comunale», continua il consigliere di opposizione, «per dire l’importanza che l’aeroporto di Venezia rimanga sotto il controllo di imprenditori legati al territorio. Oggi scopriamo che Save sarà controllata da due fondi il francese Leone Infrastructure srl e l’inglese Infrahub ciascuno, con il 40 per cento delle azioni».
Una polemica destinata a montare. Qualche anno fa era stato il sindaco Giorgio Orsoni a vendere le azioni Save, circa il 15 per cento del pacchetto azionario della società. Allora era stata una scelta obbligata dalle difficoltà di bilancio. Ma anche criticata per il momento in cui era stata fatta. Le azioni vendute erano poi aumentate di valore. Adesso succede l’opposto. La Città metropolitana vende per non trovarsi in mano «carta straccia». Ma l’effetto è lo stesso: gli enti pubblici escono dal governo della società del loro aeroporto. Era successo qualche anno fa all’epoca della presidenza Galan anche con la Regione. Veneto Sviluppo aveva venduto le sue quote a Marchi, che aveva in quel modo conquistato la maggioranza e il governo dell’aeroporto e iniziato la sua scalata. «Non dimentichiamo», scrive Pellicani, «che la Save gestisce l’aeroporto in regime di concessione dallo Stato, per cui è chiamata a svolgere in primo luogo l’interesse dei cittadini e non gli interessi privati. E che l’aerostazione è stata realizzata con soldi pubblici».
Un progetto di grande qualità, firmato dall’architetto Giampaolo Mar, che ha fatto dell’aeroporto Marco Polo uno degli scali più belli d’Europa. Alla presidenza della società, durante i lavori di costruzione della nuova aerostazione c’era Gianni Pellicani, vicesindaco della città e parlamentare del Pci-Pds, padre del consigliere Nicola.
Adesso sull’Opa e l’uscita dalla Borsa cresce la polemica. Il termine per presentare offerte scade il 13 ottobre. Il controllo di Save è oggi in mano alla società Milione (fondi stranieri all’80 per cento, Marchi al 20) che controlla Agorà e dunque Save.
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