Sarà la Biennale dei temi e dei concetti

Il tempo di Internet impone una nuova lettura: vedremo drive-in, pupazzi, geometrie di tubi. Apertura il primo giugno, chiusura il 24 novembre

VENEZIA. Una chiesa cattolica vietnamita di due secoli fa “importata” dal paese orientale dall’artista vietnamita Danh Vo e ricostruita al centro dell’Arsenale. O un drive-in in stile americano - opera dell’artista Erik van Lieshout - con tanto di automobili allo sfascio per far accomodare gli spettatori, già installato di fronte al bacino dell’Arsenale, là dove due anni fa troneggiava una balena spiaggiata. Sono alcune delle installazioni più spettacolari che aspettano i visitatori de «il Palazzo Enciclopedico», la Biennale Arti Visive di Massimiliano Gioni, che già da oggi inizierà a essere visitata con il primo giorno dei quattro di vernice - che precederanno l’inaugurazione di sabato, con il nuovo ministro dei Beni Culturali Massimo Bray - tra Giardini e Arsenale, ma allargata all’intera città, con una cinquantina di padiglioni stranieri che hanno trovato ospitalità nei palazzi veneziani.

Come già fece nel 2003 Francesco Bonami - con cui Gioni collaborò, giovanissimo, per quell’edizione della Biennale Arte - il curatore ha rotto la tradizionale “fuga” prospettica delle Corderie dell’Arsenale per trasformarle in un percorso labirintico fatto di stanze e ambienti dove collocare la sua wunderkammer ispirata al progetto impossibile dell’artista autodidatta italo-americano Marino Auriti, che alla metà degli anni Cinquanta, in uno sperduto garage nelle campagne della Pennsylvania, costruì il modello del suo Palazzo Enciclopedico, un museo immaginario di 136 piani e 700 metri di altezza che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto ospitare tutto il sapere dell’umanità, dalla ruota al satellite. E il modello originale di Auriti è già là ad aspettare i visitatori all’ingresso dell'Arsenale. E intorno alla sua ossessione enciclopedica rivisitata, Gioni ci proporrà un compendio di quelle degli artisti - laureati o autodidatti - dall’inizio del Novecento a oggi nel dare forma visiva compiuta ai propri sogni e alle proprie emozioni. A rompere la struttura labirintica dell’Arsenale e dei Giardini - dove saranno “accumulate” circa 4500 opere - sono ogni tanto gli “sprazzi” come appunto la chiesa vietnamita di Dan Voh o il museo dell’immaginario di manichini, pupazzi, bambole, tele disegnate da carcerati raccolti dall’artista americana Cindy Sherman anch’esso al centro dell’Arsenale, con oltre 200 opere di più di trenta artisti. O come la grande installazione geometrica del land-artista statunitense Walter De Maria - fatta di eleganti tubi dorati - basata su complessi calcoli numerologici, al termine del percorso.

È finito - almeno per ora - il tempo delle Biennali Arti Visive che si ripromettevano di mostrare il “nuovo” dell’arte contemporanea mondiale, come una grande vetrina. Internet e la globalizzazione imperante ormai lo rendono un esercizio superfluo, come hanno fatto capire anche ieri lo stesso Gioni e il presidente della Biennale Paolo Baratta, presentando la mostra documentaria «Amarcord» sulla storia dell’istituzione, a Ca’ Giustinian. È tempo di mostre concettuali e tematiche, di rilettura storica in chiave contemporanea, con maestri celebrati e artisti sconosciuti o “prestati” alle arti visive - da Ernst Jung al sensitivo americano Alistair Crowley – come ci proporrà Gioni in questa edizione.

Intanto Venezia «scoppia» letteralmente di eventi e di ospiti, con alberghi esauriti da giorni, taxi introvabili (la Fondazione Prada ne ha “prenotato” in pianta stabile uno per tre giorni per i suoi ospiti alla modica spesa di 25 mila euro), yacht in doppia fila in Marittima. E l’austero Financial Times, che ha dedicato un’ampio supplemento a quello che definisce «the lagoon show», si chiede se la Biennale Arti Visive di Venezia sia il più importante appuntamento mondiale dell’arte contemporanea, o solo una scusa per grandi feste e party all’ombra di quella che fu la Serenissima. Forse entrambe le cose.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © La Nuova Venezia