San Trovaso, guerra ai fast food

VENEZIA. «Ho servito da mangiare al battesimo, alla comunione e al matrimonio della stessa persona. È il nostro lavoro, e ci rende felici». Un dettaglio che rivela il passare del tempo, ma anche l’attaccamento di un cliente che cerca qualcosa in più di un pasto. È la Taverna San Trovaso, che ieri ha festeggiato il suo quarantesimo anniversario. Domenica ci sarà un rinfresco aperto a tutti, dalle 4 di pomeriggio in poi. In tutto centoventi coperti, a due passi dal ponte dell’Accademia e da uno degli ultimi “squeri” della città. Fin dal ’78, anno di apertura, la gestione è interamente nelle mani delle famiglie Miotto e Cassan. Sono tutt’ora una decina – tra fratelli, nipoti e cognati – a servire tra i tavoli, su un totale di venti dipendenti. Gli affari, alla “Taverna”, vanno ancora alla grande. A pranzo, i due piani del locale sono affollati da tavoli di operai e gente che lavora nei paraggi. Il merito è di una tradizione consolidata, fatta di piatti tipici veneziani e prezzi popolari. E poi quelle saracinesche, alzate dal mattino alla sera, che non chiudono mai. «Qui la cucina è aperta tutto l’anno. L’unico giorno in cui non si lavora è Natale», spiega il gestore Stefano Miotto, originario di Campolongo Maggiore. Lui, insieme ad altri sette soci, è dentro al ristorante in calle Contarini Corfù fin dal primo giorno di apertura. Quando, in realtà, il ristorante era un’osteria. Da diversi decenni però gli aperitivi hanno lasciato spazio ad antipasti di pesce, carne e pizza. La sera, poi, la clientela “locale” lascia spazio ai turisti. Tra loro, anche molti affezionati che, racconta Miotto, «vengono a trovarci due volte l’anno, anche a distanza di trent’anni dalla prima volta». Qualche cambiamento, negli ultimi anni, c’è stato. Una causa sta nel ponte di Calatrava, che rigurgita fiumi di visitatori lungo la Strada Nuova. «C’è però chi sta peggio», sostiene Miotto riferendosi ai commercianti del sestiere San Polo. Un altro fattore è il modo di mangiare, totalmente rivoluzionato negli ultimi anni. Basta osservare il boom di take away e cibo da asporto. «Una volta» racconta ancora il titolare «era normale mangiare primo, secondo e dolce. Adesso non è più così. Dipende dai take away, aperti tutto il giorno, e dal proliferare di bar. Ormai si mangia a tutte le ore. L’unico modo per salvarsi è puntare sulla qualità dei piatti». Qualcuno in città se ne approfitta, magari sfruttando le migliaia di bocche da sfamare e alzando i prezzi. «A noi non interessa: preferiamo avere una clientela affezionata. Ci fa tornare a casa col sorriso».
Eugenio Pendolini
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